L’artista e la pittura murale.
La lettura della vicenda professionale di Gaetano Bellei, come di diversi altri artisti, locali e non, è stata dettata finora soprattutto da logiche di mercato. La visione che ne è stata tradizionalmente fornita dice di un avvio all’insegna della rottura di schemi ormai ripetitivi, dell’irrompere del verismo morelliano e, contemporaneamente, dell’attenzione per moderne istanze simboliste (1). Dice poi di un rapido ripiegamento su forme più tradizionali e su temi più facilmente commerciabili, fatti di eleganti figure femminili, di bambini ridenti, anziani contadini felici e frati gaudenti, ai quali si affianca una cospicua attività ritrattistica, di modi sobri e di buon livello qualitativo.
Questo tipo di lettura pare ancora solidamente fondata, ma ha tuttavia impedito di indagare tutto quello che, all’interno della produzione di Bellei, non è accostabile a qualcuna delle tipologie date. Restano infatti fuori da questo racconto episodi tardi, che paiono marginali nella carriera dell’artista, ma che aiutano a rendere più complesso il quadro della committenza locale. Si tratta in particolare della pittura sacra per le chiese del territorio, sia essa realizzata su tela o su muro. Manca ancora un’analisi complessiva delle opere realizzate tra Diciannovesimo e Ventesimo secolo per le chiese del territorio, anche se non mancano lodevoli eccezioni (2). Emerge così che Bellei ha realizzato almeno tre tele: il Transito di San Giuseppe per la parrocchiale di Sozzigalli, rielaborazione del dipinto di Giovanni Muzzioli, che a sua volta aggiornava in chiave verista una composizione del milanese Giuseppe Bertini (3), un altro San Giuseppe per la chiesa di San Zenone a Rolo e un Sant’Antonio da Padova, copia di un’opera del Malatesta, eseguito nel 1919 per la parrocchiale di Sorbara.
A queste opere si aggiungono Il trasporto della santa casa di Loreto nella volta di Santa Maria di Mugnano (4), quattro scene della Passione per la chiesa del Crocifisso di Carpi (1916) e l’intero ciclo cristologico, datato 1917 ma rimasto incompiuto, a San Donnino di Liguria. Nella chiesa carpigiana il ciclo si compone dell’Orazione nell’orto, della Flagellazione, della Coronazione di spine, per chiudersi con la Crocifissione. La composizione appare alquanto tradizionale con scorci da sotto in su e impaginazioni che richiamano la pittura secentesca, mentre la resa dei particolari, soprattutto dei volti appare piuttosto sommaria, questo forse anche per la collocazione molto alta delle scene. Appare interessante la figura dell’angelo, fortemente allungata e sottile, sfumata alle estremità inferiori, che pare richiamare l’analogo personaggio della giovanile Annunciazione Poletti. Gli stessi modelli secenteschi, ma con richiami a esperienze giovanili, caratterizzano anche l’altro ciclo, quello di San Donnino di Liguria, che, forse per la maggiore ampiezza delle scene e per l’estensione del ciclo appare meno omogeneo nella composizione.
La piccola chiesa mostra sulle pareti absidali la Crocifissione e la Resurrezione, sormontate dall’Ascensione nel catino absidale. Nella volta della navata invece vi sono dipinti riquadri più piccoli con il Battesimo, l’Orazione nell’orto e la Natività (realizzata questa da Arcangelo Salvarani, probabilmente dopo la morte di Bellei nel 1922). Restano poi due lunette laterali, una con il Cristo porta croce e l’altra con le Tre Marie ai piedi del Golgota. La realizzazione risulta di qualità modesta per via della stesura veloce del colore che crea, in alcuni punti, un certo senso di appiattimento, ma anche per la scarsa armonia fornita dall’accostamento in un unico ciclo di elementi di provenienza differente. Se i soldati della Resurrezione sembrano esercizi d’accademia, le Tre Marie sono invece ritagliate da alcuni fortunati quadri di genere del Bellei maturo, mentre più complessi riferimenti si rintracciano nel catino absidale, memore tanto della simmetria dei mosaici paleocristiani quanto dell’illusionismo spaziale da Mantegna in avanti. Infine, anche qui come nel precedente ciclo di Carpi, ricompaiono motivi formali risalenti all’esperienza del Pensionato Poletti, come le figure allungate ed espressivamente forzate dell’angelo del Getsemani e del Cristo crocifisso. Ben più pacato, soprattutto a confronto con la monumentalità epica del presbiterio, appare l’intervento di Salvarani, fatto di una composizione semplice e di una calda e rassicurante luminosità.
NOTE
(1) Si vedano, da ultimo, le schede di chi scrive in T. Fiorini, F. Piccinini, L. Rivi (a cura di ), Museo Civico d’Arte di Modena. I dipinti dell’Ottocento e del Novecento, Modena 2013, pp. 68-70.
(2) E. Golinelli, A. Garuti (a cura di), Modena. Le chiese della Provincia. Storia e immagini, Modena 1993.
(3) ]Per il quadro di Muzzioli si veda la scheda di E. Bellesia, in F. Piccinini, L. Rivi (a cura di), Arte Modenese tra Otto e Novecento. La raccolta Assicoop Modena Unipol Assicurazioni, Modena 2008, pp. 50-54, in partic. p. 51; l’opera di Bertini, destinata alla chiesa di Paderno d’Adda, è riprodotta in G. Carotti, Artisti contemporanei: Giuseppe Bertini, in “Emporium”, 9, 1899, pp. 163-194, in partic. p. 179.
(4) ]La notizia si ricava indirettamente da: eppi, Visioni d’arte in una chiesa rurale, in “Gazzetta dell’Emilia”, 10-11 settembre 1927.
(Tomas Fiorini, 2013)