FORGHIERI GIOVANNI

Debiti e originalità di un pittore.
Si ripropone in queste pagine la prima parte di un ricco testo di Renato Roli dedicato a Giovanni Forghieri, già apparso nel 2004 negli “Atti e Memorie” dell’Accademia Nazionale di Scienze Lettere e Arti di Modena (La pittura di Giovanni Forghieri. Itinerario nel tempo. 1921-1941, pp. 643-654). Lo studioso affronta in particolare il problema dei rapporti (da risolversi insieme in termini di debito e di originalità) tra Giovanni Forghieri e Giuseppe Graziosi.

[…] È quasi d’obbligo procedere a partire dal dipinto con cui il ventitrenne autore vinse nel 1921 il premio “Poletti” ottenendo la possibilità di trasferirsi a Roma per un tirocinio formativo. Si tratta dell’Officina del fabbro granducale G.B. Malagoli (Museo Civico d’Arte di Modena) trasposta significativamente in un contesto di contemporaneità, ottimale per celebrarvi quella vena di realismo sociale strettamente connessa ai primordi (nella scultura e nella pittura) del maestro Giuseppe Graziosi. Alle soglie del secolo Graziosi svolge infatti una tematica rivolta alle fatiche dell’uomo sulle orme del Meunier. Lo slittamento, nell’Officina, dal tema settecentesco al Novecento operato dal Forghieri gli consente di presentarsi al “Poletti” con un’opera che per l’appunto manifesta l’aggancio al Graziosi, a quelle date ormai divenuto autore di notevole rilevanza. Discorso analogo, per quel cruciale 1921, è da tenersi riguardo alla Scena rustica (contadina con galline) delle Collezioni della Provincia di Modena (1) e la Scena di mercato della Banca Carimonte (2). La sciolta stesura e l’adozione di una tonalità aperta e luminosa vi sono agevolmente confrontabili con opere della prima fase di Graziosi. Analogamente accade per la veduta della Rocca di Savignano e per l’Autoritratto, entrambe del Museo Civico. Specialmente quest’ultimo dipinto è condotto con una tecnica modellante di sorprendente efficacia: una concretezza che nel naturale moto del volgersi intende fissare decisamente i tratti fisionomici in piena luce. Tale disposizione si rinnova l’anno successivo (1922) nel Ritratto della signora E.V. (Mostra di Modena 1926, ripr. a p. 13), ma con più attenzione al luce-ombra che ne modella i tratti, con qualche analogia con i modi di Evaristo Cappelli, ed egualmente nel Ritratto di vecchia (Virginia Paglioni) datato 1923 (3). Il notevole Ritratto della signorina Frigierì (4) esposto a Monza nel 1924 si aggancia piuttosto, per pienezza di modellato e corposità di resa, al giovanile Autoritratto. Tutti questi dipinti attestano una solida propensione per il genere ritrattistico che ottiene riconoscimento adeguato con l’ammissione alla Mostra del Ritratto femminile di Monza (1924). L’apice nel tema di figura è raggiunto più tardi nel dipinto Le amiche (5): due figure sedute che guardano un libro, ammirevoli per immediatezza esecutiva, dalle profonde intonazioni rossastre in cui affondano note di neri modellanti. È riferibile al decennio successivo per confronto con “disegni” datati, di cui diremo più avanti.
Pure del ‘24 è il ben costruito dipinto con L’arcolaio e la tessitrice (6) ove protagonisti sono per l’appunto gli attrezzi di lavoro con le loro singolari sagome, consueti allora ma per noi oggi suggestivamente favolosi. Su questo tema si conosce addirittura un trittico, composto anche dal dipinto esibito alla Galleria “L’Esame” di Milano (1928, Cat. tav. 3) col titolo Di sera e un terzo, inedito, in coll. privata. Il primo dipinto è il più strutturato e gli attrezzi vi hanno un risalto quasi monumentale; anche la figura della filatrice, in primo piano, possiede un’evidenza particolare, cui contribuisce un sottile giuoco luministico. La seconda versione sceglie l’ora serale per giovarsi della variante di una illuminazione che squarcia il buio della stanza tramite la lampada a petrolio. Nella dialettica luce-ombra si anima la sagoma della filatrice posta di spalle, nella trama convergente di segnali prospettici precipiti verso il fondo tagliato dalla lama di luce, ove si stampano le proiezioni d’ombra generate dal massiccio telaio. Una concezione dinamica non presente negli altri due dipinti, mentre il terzo (inedito) offre una più pacata presentazione strutturale spostando la figura verso un secondo piano ed esaltando il fiottare della luce mattutina all’interno dell’androne. Un trittico davvero esemplificativo delle attitudini e delle abilità di Forghieri che nell’occasione gareggia con il maestro Graziosi.
Quest’ultimo si produsse varie volte nell’argomento con composizioni tutte ascrivibili al primo decennio del secolo (7). Forghieri regge bene il confronto con tali risultati di Graziosi, certamente per lui esemplari. Mentre Graziosi impone con perentorietà la struttura della “macchina” da tessere occupando quasi tutto lo spazio del dipinto, il giovane seguace sceglie un’ambientazione di maggior respiro, pur pervenendo ad analoga monumentalità nel dipinto del ‘24 (8). Nelle altre due versioni Forghieri esprime con personale acutezza il senso di una spazialità più allentata, affidandola ad una convincente dialettica luministica che alleggerisce le forme movimentandole.
Ora è la vita rustica all’aperto a fornire al pittore gli spunti più stimolanti. È datata 1924 la Donna con cesta delle Collezioni della Provincia (9) presentata come squarcio di vita vera in veduta frontale e in controluce: un dipinto di convincente modernità che rispetto ad analoghe prove di Graziosi sembra voler travalicarne I’“impressionismo” per affrontare una più strutturante corporeità. Giulio Bariola pubblicò (1926) alcune delle tele più significative di questi anni ove il precedente di Graziosi è quanto mai esplicito. La tematica della vita contadina a Savignano viene ripresa a poco più di un decennio di distanza, spesso con l’adozione di un punto di vista rialzato che ribalta in avanti gli sfondi, per un guadagno di dinamica spazialità, al di là della ripresa quasi puntuale di figure e di gesti. Così, se nella Pigiatura dell’uva (10) ricorrono esplicite analogie con il dipinto di Graziosi esposto alla Biennale veneziana del 1909 (11) e soprattutto con l’acquaforte di simile argomento (12) in scene come le Vagliatrici di grano del 1924 (13) e Sull’aia (14) ricca di possibili allusioni simboliche alla fecondità della terra, la diversa spazialità adottata dal Forghieri ne riscatta una dipendenza dal maestro che rischia talvolta di farsi troppo esplicita. Le figure prevalgono decisamente sull’ambientazione, che diviene connotato accessorio se pur fuso in luminosità aperta; mentre le figure si avvalgono di un efficace pittoricismo esecutivo.
Mette in conto di accennare al fatto che in questi anni venti Forghieri si applica anche a puliture e restauri di dipinti antichi, come documentano le schede del catalogo della Galleria Estense redatto da Pallucchini (1945). Le opere su cui primamente si applica appartengono di massima all’area culturale veneteggiante, cosa che può stimolare qualche marginale riflessione sull’agilità del ductus pittorico di Forghieri stesso. Del resto per i concorsi “Poletti” di copia dell’antico lo vediamo scegliere significativamente come modelli, nel 1921 un dipinto di Carlo Saraceni e nel 1924 un dipinto del Tiepolo (entrambe le prove sono conservate presso la Biblioteca Poletti). L’attività collaterale per la Galleria Estense si protrae negli anni trenta, quando vengono affidati alle sue cure vari quadri di scuola veneta, tra cui opere di Tintoretto, Veronese, Bassano, Strozzi, Della Vecchia, Guarana, Marieschi, rafforzando in lui quella propensione alla resa pittorica di cui quella scuola fu l’autentica sorgiva (15). Del resto Giulio Bariola sin dal ’26 (p. 7) segnalava riflessi di G. M. Crespi, da Tintoretto e dai settecentisti veneziani, come riproposto più tardi anche da F. Arcangeli (1948) […]

NOTE
(1) G. Martinelli Braglia, Ottocento e Novecento a Modena nella Raccolta della Provincia, Modena 1997, ripr. a p. 24.
(2) M. Scolaro, Carimonte (Banca) La Raccolta d’arte, Milano 1992, p. 246.
(3) G. Bariola, La mostra personale di G. Forghieri pittore B. Boccolari silografo, in “Cronache d’Arte”, 2, 1926, pp. 81-100, ripr. 3.
(4) Ivi, ripr. p. 4.
(5) L. Frigieri Leonelli, Arte modenese tra Otto e Novecento, Modena 1987, p. 115.
(6) G. Bariola cit., ripr. 6.
(7) Disegno a carboncino in G. Guandalini, Grafica di G. Graziosi al Museo Civico di Modena, Modena 1975, ripr. 33; acquaforte, ripr. 29, con indicazione orientativa al 1907; dipinto – Firenze, coll. priv. – esposto a Roma alla 80a Esposizione di Belle Arti e altro di proprietà Eredi Graziosi a Firenze, in F. Petrucci (a cura di), Giuseppe Graziosi, catalogo della mostra (Accademia delle Arti del Disegno), Firenze 1994, tav. 45; inoltre lo scatto fotografico in Giuseppe Graziosi dalla fotografia al quadro, catalogo della mostra, Modena 2003, ripr. a p. 57.
(8) G. Bariola cit., ripr. 6.
(9) G. Martinelli Braglia cit., tav. a p. 95.
(10) G. Bariola cit., ripr. 10).
(11) F. Petrucci cit., ripr. 30 dell’introduzione.
(12) Ivi, tav. 52.
(13) G. Bariola cit., ripr. 8.
(14) Ivi, ripr. 9.
(15) R. Pallucchini, I dipinti della Galleria Estense di Modena, Roma 1945.

(Renato Roli, 2013 [ma 2004])