GIGNOUS LORENZO

Luoghi del paesaggio: Sesto Calende. 

Il dipinto nella Raccolta Assicoop intitolato Sesto Calende sul Lago Maggiore (1) raffigura uno dei soggetti ricorrenti della produzione di Lorenzo Gignous, paesaggista modenese di adozione lombarda. Nei cataloghi d’asta sono riscontrabili ad opera di Gignous almeno una decina di vedute di Sesto Calende (2), includendo quella della vittoria del Premio Mylius all’Accademia di Belle Arti di Brera (per il paesaggio storico), e la sua copia su commissione del ministro Riccardo Bianchi. (3)
Sesto Calende è una piccola città, della provincia di Varese, bagnata dal fiume Ticino che, in uscita dal Lago Maggiore, si allarga all’interno dell’anfiteatro morenico di origine glaciale per proseguire a sud verso il Po. Sesto Calende è sempre stata, sin dall’antichità, fulcro di scambi sociali e commerciali. Il nome deriva infatti dal mercato, che si teneva il sesto giorno prima delle calende di ciascun mese. La piccola cittadina lacustre, agli inizi dell’Ottocento, oltre ad avere favorito l’industria vetraria, ospitava diverse attività produttive, come la fabbrica di cordami di canapa e una filanda di seta. Lorenzo Gignous sembra ridonare questo spaccato di operosità del piccolo centro nel quadro della Raccolta Assicoop. Il pennello di Gignous guida il nostro sguardo dalle casupole del paese, sulla sinistra, verso il basso, lungo l’ansa del Ticino su cui iniziamo a rilevare numerosi particolari. Si notano, così, piccole imbarcazioni di lavoro a riposo a riva, con minuscole figure di uomini lì accanto, chiazze bianche sparse qua e là sul terreno che potrebbero essere identificate con i cumuli di sassi bianchi del fiume Ticino (cogoli), ricchi di quarzo, che da secoli venivano commerciati fino a Murano per produrre i suoi famosi vetri lucidi.
Le vedute di Sesto Calende di Lorenzo Gignous, a parte la copia del Premio Mylius per il ministro Bianchi, sono tutte riconoscibili ma dissimili, ciascuna rivelatrice di piccoli spostamenti di visuale. Per indicazione di tecnica e di stile, ancora incerta tra il romanticismo della tradizione di Giuseppe Canella, passando per il verismo di Gaetano Fasanotti e dello zio Eugenio Gignous, e tra i nuovi dettami impressionisti, il quadro può essere collocato tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo.
Di Lorenzo Giugnous si conoscono diverse vedute: del Lago Maggiore, del Lago di Como, d’Orta, di paesaggi agresti e montani (4). I laghi Maggiore e di Como risultavano soggetto prediletto dei paesisti lombardi già dal Settecento e primo Ottocento, come Le isole Borromee di Johann Jacob Falkeisen o di Giuseppe Bisi con le XXV vedute dei luoghi più interessanti del Lago di Como. (5)
Con l’affermarsi delle esperienze naturaliste, Gignous si avvicinerà alla maniera dei compaesani Filippo Carcano (Le Prealpi bergamasche, Milano, Museo Nazionale della Scienza e della Tecnica), Cesare Tallone (Stalla Pantina, Milano, collezione Jucker) ed Emilio Gola (Spiaggia ad Alassio, Milano, Galleria d’Arte Moderna), attraverso una resa delle forme, riscontrabile soprattutto nelle sue opere più tarde, a macchie compendiarie di colore. (6)

NOTE
(1) Il dipinto è pubblicato, col titolo Paesaggio lacustre (Sesto Calende), in G. L. Marini (a cura di), Il valore dei dipinti dell’Ottocento e del Primo Novecento, Torino 2008, p. 445.
(2) Uno spoglio delle diverse edizioni de Il valore dei dipinti italiani dell’Ottocento e del primo Novecento di Giuseppe Luigi Marini, può dare un’idea della quantità.
(3) Fiorini (scheda), in F. Piccinini, L. Rivi (a cura di), Arte a Modena tra Otto e Novecento. La raccolta Assicoop Modena Unipol Assicurazioni, Carpi 2008, p. 80.
(4) Ivi, p. 81.
(5) M. Rosci, Diffusione e consumo dell’immagine del paese lombardo, in M. Cr. Gozzoli, M. Rosci (a cura di), Il volto della Lombardia: da Carlo Porta a Carlo Cattaneo: paesaggi e vedute 1800-1859, Milano 1975, p. 138.
(6) S. Rebora, Iconografia e linguaggio. Il naturalismo, in M. A. Previtera, S. Rebora (a cura di), Un percorso nell’Ottocento pittorico lombardo. In Brianza da Marco Gozzi a Giovanni Segantini, Lecco 1999, p.88.

(Eva Ori, 2013)