Vicende critiche: una lettura moderata.
È soprattutto grazie a Giovanni Muzzioli se nel panorama dell’arte modenese, negli anni settanta dell’Ottocento, le nuove richieste di superamento dei modelli pittorici tradizionali prendono forma e trovano compiuta espressione. Il pittore si muoveva a fianco di diverse altre personalità, riunite intorno ad un periodico di fronda come il “Gazzettino settimanale”. Le ragioni che riconoscevano come meritevole la proposta di Muzzioli erano di tipo artistico e culturale insieme, arrivando inevitabilmente a implicazioni di tipo politico (1). Era dunque scontato, all’inverso, che le critiche in merito ai suoi quadri implicassero insieme remore di ordine formale e di convenienza morale. Il dibattito verteva sul tema di un nuovo rapporto con il vero, relativamente a quanto poteva risultare opportuno cogliere e selezionare in ambito pittorico dalla varietà dell’esperienza, presente o storica che fosse. Nella definizione di posizioni, fazioni e partiti a favore o contro le nuove proposte artistiche, se Adolfo Venturi si schierava senza dubbio a favore, Chiaffredo Hugues era invece da considerare dalla parte degli avversari; o almeno di coloro che, in specifico, pure riconoscendo grandi meriti al giovane pittore modenese, ravvisavano nella sua opere diversi aspetti manchevoli. Lo stesso Venturi, diversi anni dopo le vicende in questione, dall’alto del suo ruolo di padre della storiografia artistica italiana, ricordando gli anni dei suoi esordi critici modenesi avrebbe indicato impietosamente proprio in Chiaffredo Hugues il modello di critico accademico, insensibile alle richieste della modernità, incapace di cogliere le positive novità che una fronda di artisti e intellettuali, lo stesso Venturi, Muzzioli, il giornalista Malverti, andavano presentando nella sonnecchiosa Modena del secondo Ottocento (2). Sono d’altra parte anche le incomprensioni di Hugues, le sue obiezioni come i suoi suggerimenti che permettono di meglio capire le ragioni dei più avvertiti artisti e intellettuali modenesi, solidali con Muzzioli nella sua ricerca intorno al vero. Hugues avrebbe pure avuto modo di ascoltare Muzzioli e di interrogarsi sulle motivazioni della sua ricerca. Ne danno testimonianza alcune note manoscritte dello stesso critico, conservate oggi presso la Biblioteca Estense: “Muzzioli mi disse che bisognava copiare la natura, ma la natura ben scelta! Mi disse che a Roma vi sono ancora i vecchi pittori convenzionalisti come il Malatesta (il quale però egli disse non è così convenzionale come quelli) i quali vecchi pittori fanno figure dipinte che sembrano statue; perché un santo sarà un Apollo, ecc… mi disse che a Roma vi sono pittori che fanno i quadri con […] color giallo, altri bleu e solo il Vertunni è vero paesista e fece un quadro rappresentante una campagna con un acquedotto lunghissimo e al sole si rifletteva sull’acqua dell’acquedotto e sulla terra pantanosa, ed i bufali neri spiccavano in modo bellissimo in quel terreno […] Muzzioli mi disse che a Roma aveva creduto che degli affreschi di un pittore dei nostri giorni fossero a olio tanto era la potenza del colorito. Muzzioli mi disse che di presso aveva veduta fra l’altre cose una tiara d’oro illuminata dal sole la quale faceva un effetto bellissimo perché nell’affresco non vi ha come nella pittura ad olio quel giallo prodotto dall’olio stesso”. Eppure, sulla questione di cosa si dovesse scegliere nella natura per un soggetto pittorico, continuava a non essere facile mettersi d’accordo.
Ne faceva innanzitutto Hugues una questione di gusto, in riferimento a quanto una tradizione di lunga data sembrava indicare come appropriato e dunque accettabile. Scrivendo già nel 1877 specificamente di alcuni lavori di Muzzioli, tornava ad esempio utile il caso del recente dipinto raffigurante La morte di San Giuseppe, eseguito nel 1875 per Monsignor Luigi della Valle e conservato ora in questa Raccolta Assicoop (si veda il primo vol. del catalogo, p. 51). Esordiva Hugues con il riscontro di elementi positivi, già riconosciuto il generale apprezzamento per il pittore modenese: “Il concetto generale mi parve bellissimo, il fondo ben trovato, e le figure ben disposte. Gli angeli particolarmente sono atteggiati con leggerezza e grazia meravigliosa; e felicissimo è il contrasto fra il gruppo del morente, ove tutto spira gravità e la colonna di serafini, ove i fiori, le nubi, le vesti, le ali e i corpi, piuttosto accennati che dipinti, presentano un tutto rugiadoso, aleggiante, e vaporoso come un’alba primaverile” (3). Per il critico erano d’altra parte da segnalare alcuni aspetti negativi, a partire dalla figura principale, quella di San Giuseppe: “Credo dunque che nel S. Giuseppe la impressione non sia del tutto gradevole perché le figure del gruppo sottostante sono di un verismo, che non può accordarsi con gli ideali religiosi che il quadro deve rappresentare. Il Redentore e la Madonna hanno il viso di persone volgari, e il S. Giuseppe, figura principale del quadro, ispira quasi un sentimento di ribrezzo per la vecchiaia e l’agonia troppo crudelmente rappresentate” (4).
Lamentava insomma Hugues un eccesso di verismo, segnalando in negativo proprio quanto per Muzzioli e compagni costituiva il necessario obiettivo di un nuovo corso artistico, nel superamento di quei modelli di convenienza che si traducevano, ad esempio secondo quanto era andato insegnando anni prima l’autorevole lezione di Adeodato Malatesta, in una piena coerenza degli elementi raffigurati rispetto ad una intenzione di ordine contenutistico e morale. Al contrario, erano la quotidianità e quanto l’esperienza nella sua varietà e nei suoi aspetti anche meno immediatamente gradevoli a dovere segnare una nuova incisività artistica.
Guardando i quadri di Muzzioli si perdeva invece Hugues in riferimento a problemi di appropriatezza delle singole figure e dei rispettivi caratteri, obiettando ad esempio che le figure femminili proposte dal pittore poco avevano di gentile, di patetico e generoso; per contro, riconosceva in esse tratti frequentemente maturi: “Con una singolare predilezione il nostro pittore studia la femme de trente ans descritta da Balzac: la donna che ha acquistata esperienza, ha fatto qualche ruga, ha subìto parecchie disillusioni; ma è ancora in grado di far valere tutte le seduzioni del suo sesso. E forse il Tenier, il Van di Ostade, il Brouwer, il Breughel, nelle loro ostesse dalle forme ippopotamesche, amoreggianti così volentieri col boccale come con gli avventori delle loro taverne, appaiono rispetto al sesso gentile meno scettici del nostro giovane artista” (5). Di nuovo si trattava di ragionare su quanto poteva risultare appropriato rispetto alla varietà del vero, ché anche della donna, della sua immagine e del suo ruolo si incominciava a discutere (per qualcuno pericolosamente) non solo in ambito pittorico. Analoga riflessione poteva valere per certe figure maschili, come nell’esempio dell’Abramo e Sara, saggio Poletti del giovane Muzzioli per l’anno 1875. Non era accettabile per Hugues l’atteggiamento di Abramo, trovando conferma il critico per il suo giudizio in questioni di tradizione e costumi: “Così egli dipingeva un uomo non più giovane, e marito, in un atteggiamento, che appena tornava tollerabile in un amante sedicenne: non curando inoltre che, in grazia delle tradizioni e dei costumi, la nostra immaginazione circonda sempre gli orientali, e tanto più i patriarchi, di una gravità solenne ed imperiosa” (6). Non è tanto che quella scena risultasse poco plausibile se considerata per dato di esperienza, tenuto conto, come ammetteva lo stesso Hugues, che “anche in un uomo maturo può darsi la defaillance che vediamo dipinta in quell’Abramo”; il problema si poneva però sul piano dei generi e più ancora dello scopo moralizzante che si riteneva ancora quale principale giustificazione dell’arte, almeno di quella che si teneva a riconoscere, con significativa precisazione, “arte elevata”.
Contro quel modo di intendere l’arte si erano mossi gli artisti che come Muzzioli, forti delle esperienze del Naturalismo toscano, guardavano alla realtà con occhio più libero da intenzioni moralizzatrici; come avrebbe scritto anche Adolfo Venturi: attraverso “uno studio accurato e sapiente della natura e del vero”.
NOTE
(1) Si veda in proposito L. Rivi, Giovanni Muzzioli e la cultura modenese: tradizione e aggiornamento nell’arte del Secondo Ottocento, in E. Pagella, L. Rivi (a cura di), Modena Ottocento e Novecento. Giovanni Muzzioli, catalogo della mostra, Modena 1991, pp. 11-22.
(2) Dell’importanza assegnata dalla cultura ufficiale modenese a Chiaffredo Hugues sarebbe stato lo stesso Venturi a fornire notizia nelle sue Memorie: destinato a capeggiare le fila degli intellettuali di quella “Sorbona improvvisata” a cui era imputata ogni difficoltà di rinnovamento a Modena, l’ex ufficiale dei bersaglieri Hugues era ricordato perché “a furia di barocchissime ed enfatiche frasi pronunciate soldatescamente, otteneva sanzioni d’ogni sproposito, e compiva danni d’ogni sorta, non per mala volontà, ma per l’incoscienza sua e dei suoi adoratori” (A. Venturi, Memorie autobiografiche, Milano, s.d. [1927], p. 15. Tra gli scritti di C. Hugues che compaiono nella pagine del periodico modenese “Il Panaro”, si segnala tra l’altro:, Appendice Artistica. Il Monumento del Correggio scolpito da Vincenzo Vela, 24-25 ottobre 1880; Le statue di Guido Mazzoni, 30 marzo 1881; Appendice Artistica. Esposizione di saggi scolastici nell’Istituto di Belle Arti, 12 ottobre 1881; Appendice. Quattro ritratti del Comm. Adeodato Malatesta, 6-7 maggio 1885; Per il monumento a V. E., 2 gennaio 1886; Appendice. La Esposizione Malatestiana, 16, 18, 20, 22, 24, 27, 29 aprile, 1, 3, 10, 17, 31 maggio, 7 giugno 1886; Appendice. La estasi di San Cataldo dipinta da Achille Boschi, 17-18 aprile 1887; Ancora sulla tela del Guercino, 21 ottobre 1887.
(3) C. Hugues, Appendice artistica. Intorno ai lavori del prof. Giovanni Muzzioli. Considerazioni di Chiaffredo Hugues, in “Il Panaro”, 10 e 11 gennaio 1877.
(4) Idem.
(5) C. Hugues, Di alcuni dipinti del prof. Giovanni Muzzioli, Modena 1881, pp. 12-13.
(6) C. Hugues, Appendice artistica…cit.
(Luciano Rivi, 2013)