PELLONI TINO

L’artista e la pittura informale
nella lettura di Francesco Arcangeli.

“Oggi ancor più di ieri sono alla ricerca della luce nel quadro, per rendere le cose, e i paesaggi, così tenui che possano far pensare più che alla realtà al sogno, ma un sogno fatto di luce” (1).
Così Tino Pelloni conclude un suo scritto del 1970 pubblicato sul catalogo di una personale alla Galleria della Sala di Cultura di Modena, nel 1971. In quella occasione Francesco Arcangeli plaude ai dipinti di Pelloni, riconoscendo nella sua opera una “lenta sottile progrediente fioritura”, a partire da un autoritratto del 1925, memore di esempi illustri della modernità e informato da un contemporaneo novecentismo, per arrivare alle ultime e “chiare” realizzazioni che, secondo lo storico dell’arte, sono il frutto di un nuovo atteggiamento “postinformale”. Proprio Arcangeli, infatti, sottolinea come il modenese aderisca alla tela per concepirvi una dimensione tutta sua, derivata da un accordo “fra l’originaria grafia e il colore come materia, come implicita comunanza con le cose”1. Dunque, i soggetti di Pelloni – per lo più ritratti, nature morte e paesaggi – vivono all’interno di una precisa dialettica tra disegno e colore, tra i limiti della forma e la materia brulicante delle campiture, come se l’artista generasse una realtà dalla nuova consistenza, impalpabile e leggera, delimitata da un tratto grafico ben preciso. L’effettiva eco post-impressionista delle opere di Pelloni è arricchita da “una tessitura, che si direbbe neoseicentesca, del particolare”. È di nuovo Arcangeli a notare come il cammino dell’artista sia stato sempre “segnato da un rapporto, forte eppoi sempre più delicato, determinato eppoi sempre più insinuante, col particolare”.
A partire (secondo l’opinione del critico) dalla fine degli anni trenta Pelloni apre una nuova fase della sua attività: ora la pittura diviene sempre più “chiara”, “senza corpo”, dove la pelle degli oggetti ritratti si fa progressivamente più diafana e allo stesso tempo brulicante e viva. Dice l’artista: “per aiutarmi in questa ricerca, trovai una mestica che stesa sulla tela assumeva le caratteristiche di un intonaco, porosa, scabra e leggera a un tempo”. La felice intuizione di Arcangeli sta proprio nell’aver rintracciato in quelle epidermidi composite un germe informale, che abita la superficie della tela e la agita lievemente come fosse vittima di un attacco batteriologico. Sottolinea Arcangeli: “una vocazione quasi crepuscolare dell’artista calibra le cose, trepidando, su una dimensione vasta, forse acquisita dal Novecento nella sua variante postimpressionistica; ma soprattutto, sperimentandone il loro tessuto, le viene squisitamente estenuando”. Il progressivo alleggerimento della realtà rappresentata coincide con un ribaltamento del piano prospettico in superficie. I corpi delle donne ritratte, così come gli elementi naturali delle nature morte, subiscono un processo di appiattimento verso il piano della tela, perdendo in questo modo ogni riferimento con lo spazio prospettico. A questo proposito è interessante notare, più in generale, l’impostazione critica di Arcangeli, che proietta la poetica del Romanticismo verso le soluzioni successive dell’Informale. Parlando della pittura di William Turner come pre-informale, ad esempio, il critico nota come lo spazio quattrocentesco venga scardinato e sostituito da un “sogno spaziale”, in cui vicinanza e lontananza non sono più quantificabili e dove ciò che conta è “l’apparizione fantomatica dell’immagine” (2). Questa sensibilità romantica, dove il paesaggio diventa la proiezione dei sogni e della coscienza dell’artista, a discapito della rappresentazione di uno spazio misurabile, sfocia nelle manifestazioni dell’Informale, e in particolare nel dripping di Pollock.
Possiamo pensare che nella visione di Arcangeli anche l’opera di Pelloni potesse trovare posto all’interno di quell’ampio percorso critico, in una dimensione post-informale, di emersione della pittura dalla materia stessa del supporto, dove il mondo fenomenico smagrito, assottigliato, si rende ora “non più che una trama ottica”.

NOTE
(1) Per questa e le seguenti citazioni si veda la breve Prefazione di Francesco Arcangeli, in F. Arcangeli, E. Cecchi, C. F. Teodoro, Tino Pelloni, catalogo della mostra (Galleria della Sala di Cultura), Modena 1971, pp. 5-7.
(2) F. Arcangeli, Dal Romanticismo all’Informale. Lezioni accademiche 1970-71, Minerva edizioni, Bologna 2005, p. 37.

(Francesca Mora, 2013)