L’avanguardia, l’arte negli edifici pubblici e i diritti per gli artisti.
Il presente contributo costituisce un’anticipazione dei risultati della tesi di Dottorato di Ricerca in Architettura di Eva Ori, Enrico Prampolini tra arte e architettura, Tutor: Prof. Arch. Giovanni Leoni, Co-tutor: Prof. Arch. Micaela Antonucci, XXVI Ciclo, Università di Bologna.
Definire Enrico Prampolini solamente come pittore e scenografo futurista si rivela riduttivo alla luce della sua prolifica produzione di scritti, manufatti artistici e contributi teorico-pratici, sovente meno noti, volti al miglioramento delle condizioni degli artisti in seno alle istituzioni e alla ricerca di nuovi mezzi espressivi per l’unità delle arti. Modenese di nascita, trasferitosi ben presto a Roma, Prampolini aderisce tra il 1912 e il 1916 al movimento futurista con lo sferzante manifesto Bombardiamo le Accademie e industrializziamo l’arte (1), che gli vale l’allontanamento dall’Accademia di Belle Arti della capitale. Ma l’adesione al Futurismo è solo l’inizio di una carriera che lo vedrà andare oltre il confine dell’avanguardia nazionale per proiettarsi sulla scena internazionale (2). Fondamentali strumenti per il raggiungimento dei suoi arditi obiettivi saranno da principio la creazione di una rivista e la fondazione della Casa d’Arte Italiana, due entità in netta simbiosi tra loro. Prampolini fonda nel 1917 la rivista “Noi. Raccolta internazionale d’arte d’avanguardia” (3). Numerose erano allora le riviste, di natura spesso effimera, create dai futuristi (4), ma nessuna era riuscita a costituire un punto unico e di riferimento per l’intero movimento. Prampolini sembra quasi riuscire nell’intento di riunire non solo il movimento futurista, ma l’intera avanguardia. Nel sottotitolo della rivista “Noi” non compare la parola “futurista” o “futurismo”, ma “d’avanguardia” (5). E a partire dal primo numero sino al 1920, non compare alcun intervento dell’onnipresente Marinetti, mentre compaiono interventi di artisti quali Janco, Tzara, Picasso, Cocteau, Strawinsky, Archipenko, Gris, e fra gli italiani Severini, De Chirico, Carrà, e molti altri ancora. Solo con la seconda serie di “Noi”, del 1923, Marinetti supporta economicamente Prampolini e fa modificare il sottotitolo in “Rivista d’arte futurista” (6). L’internazionalità e la collaborazione fra le arti rimarranno comunque due aspetti peculiari del mensile.
Poco dopo la nascita di “Noi”, Prampolini, procedendo in modo analogo all’attività dei suoi colleghi futuristi come Balla, Depero e Tato, fonda una sua casa d’arte a Roma assieme al critico Mario Recchi nel 1919 (7). In principio, pensata come “Boite d’art Futuriste – club per la propaganda e lo sviluppo dell’arte italiana e internazionale contemporanea”, la casa d’arte di Prampolini nasce con l’intento di “favorire l’opera degli artisti, creatori di nuovi orientamenti nel campo delle arti plastiche, letterarie, musicali e teatrali” (8). La promozione di questi artisti avviene attraverso esposizioni d’arte pura e applicata, di scultura e architettura; concerti; rappresentazioni d’eccezione e letture. Una sala di lettura, diretta dal fratello Alessandro Prampolini, (meglio conosciuto con lo pseudonimo di Vittorio Orazi) e una tea room, per favorire le vendite di opere e gli scambi dei soci con il pubblico non socio, completavano i servizi offerti. Scambi intellettuali e operatività sul campo facevano della Casa d’Arte Italiana un centro di coinvolgimento e collegamento tra artisti italiani e personalità straniere nell’ambito dell’avanguardia internazionale. Troviamo tra i collaboratori italiani: Bottai, Carrà, De Chirico, Papini, Pratella, Severini, Sironi, Settimelli, Ungaretti; tra quelli stranieri: Archipenko, Braque, Chagall, Cocteau, Delauney, Gris, Kandinsky, Klee, Kokoschka, Lèger, Matisse, Picasso, Satie e molti altri ancora.
Proprio nell’ambito della Casa d’Arte Italiana, Prampolini, in linea con le idee espresse da Fortunato Depero e Giacomo Balla nel manifesto Ricostruzione Futurista dell’Universo del 1915, nel quale si mira all’unità delle arti e a un’arte totale con perfetta corrispondenza tra arte e vita, pensa a delle esposizioni-concorso, un piccolo embrione teorico di quelle che saranno le mostre di plastica murale futurista, a completamento dell’architettura, degli anni Trenta. Tra l’elenco di sette proposte di esposizioni-concorso compare quella, particolarmente interessante, di “quadri educativi per aule scolastiche per asili e scuole elementari” (9), quasi a prefigurare, già vent’anni prima, la cospicua applicazione di quella che venne chiamata poi la “legge del 2%” – l. n. 839, emanata l’11 maggio 1942, che prevedeva l’impiego di opere d’arte figurativa per una somma non inferiore al 2% del costo totale dell’edificio, in tutte le costruzioni pubbliche effettuate dallo stato, dalle provincie, dai comuni – negli edifici scolastici con opere d’arte simboliche e significative.
In un articolo intitolato Le opere d’arte negli edifici pubblici, pubblicato il 12 aprile 1942 (dattiloscritto datato 26 marzo 1942) su “Mediterraneo futurista”, Prampolini sottolinea come la legge, denominata poi “del 2%”, fosse stata da lui fortemente auspicata sollevando “per primo la questione della necessità di destinare a favore degli artisti delle arti figurative una percentuale (dal 2% al 3%) sull’ importo totale della spesa per le costruzioni di edifici pubblici” (10). Del resto è plausibile che Prampolini, avendo comprovati rapporti di frequentazione con Giuseppe Bottai (11), il futuro estensore della legge n. 839, gli avesse dato dei suggerimenti su questo provvedimento a favore degli artisti.
La personalità poliedrica ha sempre permesso a Prampolini di spaziare con notevole disinvoltura nell’ambito di tutte le arti, compresa l’architettura, e non v’è dubbio che egli avesse a cuore, senz’altro per credo artistico – ma anche per ragioni economiche, data la mancanza di un reale sistema di mecenatismo in Italia – la collaborazione fra artisti e architetti.
Le parole di Prampolini espresse nelle prime righe, sopra citate, dell’articolo apparso su “Mediterraneo futurista”, considerando il percorso artistico e riconoscendo tutte le lotte fatte in favore dei diritti degli artisti e in favore della collaborazione fra le arti e gli stessi artisti, appaiono in tal senso particolarmente significative.
Si pensi poi alla Casa d’Arte Italiana che si pone, con un certo piglio manageriale, come una sorta di ente assistenziale, quasi in sostituzione del sindacato – che era proprio in quegli anni in via di trasformazione – assumendosi l’organizzazione di esposizioni-concorso “mediante opportuni accordi con ditte ed istituti privati e pubblici […] per agevolare le ditte stesse nella scelta di modelli e bozzetti” (12). O si pensi ancora alla relazione di Prampolini al Congresso Internazionale artistico di Düsseldorf del 1922 (13), dove espone le sue idee in otto punti riguardanti la promozione delle arti, il ruolo degli artisti e relazioni tra essi e i diritti e le agevolazioni economiche per gli stessi, che fungerà da base al manifesto del 1923 firmato da tutti i futuristi (I diritti artistici propugnati dai futuristi italiani. Manifesto al governo fascista) che porterà poi alla formazione di istituti di credito artistico (14). Tra la fine degli anni venti e l’inizio degli anni trenta vediamo Prampolini ancora impegnato nel proporre cambiamenti e modifiche al sistema corporativo di regime che non faceva abbastanza per sostenere gli artisti e lo sviluppo di un’arte italiana espressione dell’epoca fascista. Particolarmente significative a tale proposito sono le parole in un articolo del 21 febbraio 1933 pubblicato su “Il Tevere”: “particolarmente il sindacato belle arti in collaborazione con quello degli architetti, dovrebbe contribuire a potenziare il diritto supremo degli artisti stessi, che hanno infine un bel alto compito da assolvere: dare un’impronta tipica all’arte e l’architettura dell’Era fascista.[…]. Le arti plastiche dell’Italia d’oggi, se vogliono ambire ad un nuovo primato, devono orientarsi verso l’architettura e riprendere così la propria funzione vitale, ciò che deve tenere presente il sindacato delle belle arti. Esso in collaborazione con quello degli architetti dovrebbe quindi assumere d’autorità l’accentramento e la distribuzione agli artisti di tutti i progetti architettonici e di decorazione plastica o pittorica destinati agli edifici pubblici che sotto l’impulso del Regime Fascista si costruiscono in tutta l’Italia da parte statale, parastatale, delle provincie e dei comuni, degli enti pubblici o privati” (15).
Sarà nel corso dell’intera vita che Prampolini si impegnerà per promuovere attivamente una collaborazione tra le arti e gli artisti, partecipando in prima linea su questo importante tema a un dibattito non solo culturale ma anche politico e sociale, assicurando inoltre un contributo artistico diretto e concreto, attraverso l’esecuzione di plastiche murali e saggi della sua “arte polimaterica”.
NOTE
(1) Manifesto pubblicato in “Il Fronte Interno”, 1 febbraio 1918. Circa la data effettiva dell’adesione di Prampolini al movimento futurista si veda C. A Bucci, (a cura di) Regesto e bibliografia ragionati. 1912, in E. Crispolti (a cura di), Prampolini. Dal Futurismo all’Informale, catalogo della mostra, Roma 1992, pp. 467-520, in partic. p. 467. Nel 1914 l’artista è ancora iscritto presso l’Accademia di Belle Arti di Roma, ma da una autobiografia abbozzata sembra che Prampolini lasci l’Accademia nel 1912 per aderire al futurismo mentre, diversamente, nell’articolo Perché difendo Picasso del 1946 dichiara di essere uscito dall’Accademia nel 1916.
(2) E. Prampolini, Relazione del pittore Enrico Prampolini sul contributo degli artisti italiani d’avanguardia presentata al Congresso Internazionale artistico di Düsseldorf Maggio-Giugno 1922, in “De Stijl”, V, 8, 1922, pp. 122-123.
(3) La rivista venne pubblicata sino al 1925, con interruzione tra 1920 e 1923.
(4) Vedi C. Salaris, Riviste futuriste: collezione Echaurren Salaris, Pistoia 2012.
(5) M. Prampolini, Contributo al Convegno Internazionale: Futurismo: aspekty polityczno-artystycznej odnowy, Varsavia, 3-4 dicembre 2009.
(6) Ibid.
(7) I prodromi della nascita della Casa d’Arte Italiana iniziano già nel 1918 con la Mostra d’Arte indipendente nella Galleria del quotidiano “Epoca”, in via del Tritone a Roma. Vedi V. Orazi, Nella scia dell’avanguardia. La «Casa d’Arte Italiana» a Roma in “Strenna dei Romanisti”, Roma 1968.
(8) CRDAV, AEP, fascicolo 32, S VIII, B [2] XVII, C3, 2, Manoscritto Boite d’art futuriste, s.d.; tale manoscritto, considerato da Rossella Siligato in Prampolini. Carteggio 1916-1956, Roma 1992, p. 36, di mano del fratello Alessandro Prampolini (Vittorio Orazi), data la forte rispondenza calligrafica con tutti gli altri manoscritti di Enrico Prampolini, risulta invece plausibile essere di quest’ultimo.
(9) CRDAV, AEP, fascicolo 32, S VIII, B [3] XVI, FA, C9, 23, Programma della Casa d’Arte Italiana 1920-1921, p. 12.
(10) CRDAV, AEP, fascicolo 49, S VII, B 4, B C 1, Manoscritto Le opere d’arte figurativa negli edifici pubblici, s.d; fascicolo 49, S VII, B 4, B C 2, Dattiloscritto Le opere d’arte figurativa negli edifici pubblici, 26 marzo 1942.
(11) Bottai tra 1919 e 1920 era entrato a far parte del movimento futurista e compare tra i collaboratori della Casa d’Arte Italiana tra 1920 e 1921. Nell’Archivio Bottai, presso la Fondazione Mondadori di Milano è inoltre conservato un biglietto amicale, probabilmente del 1923, di Prampolini che prega Bottai di pubblicare un articolo di Vittorio Orazi sulla morte di Ricciardi sulle pagine di “L’Epoca”.
(12) CRDAV, AEP, fascicolo 32, S VIII, B [2] XVII, CV, 12, Dattiloscritto Programma della “Casa d’Arte Italiana”, s.d; pubblicato in R. Siligato, 1992, p. 37.
(13) E. Prampolini, Relazione del pittore Enrico… cit.
(14) I diritti artistici propugnati dai futuristi italiani. Manifesto al governo fascista, in “Noi”, I, n. 1, seconda serie, aprile 1923, pp. 1-2; vedi inoltre E. Prampolini, F. T. Marinetti, Un Istituto di Credito Artistico. Referendum, in “L’Impero”, 13 marzo 1923.
(15) E. Prampolini, I diritti delle Avanguardie e la riforma sindacale, in “Il Tevere”, XI, 21 febbraio 1933; ripubblicato censurando i nomi dei politici con il titolo L’arte-vita. Per una riforma sindacale, in “Augustea”, 15 maggio 1934.
(Eva Ori, 2013)