REGGIANI MAURO

Verso l’astrattismo,
le ragioni della forma.

La prima mostra di arte astratta in Italia è allestita alla galleria milanese Il Milione nel 1934. Qui compaiono le opere di Mauro Reggiani, insieme a quelle di Oreste Bogliardi e Virginio Ghiringhelli, firmatari tra l’altro di una Dichiarazione, considerata il primo manifesto dell’astrattismo italiano. Reggiani riconosce in quel testo il ruolo chiave della pittura di Paul Cézanne “la forte figura di un uomo che chiude e apre due epoche”, a partire dal quale “è possibile per la prima volta concepire la pittura come pittura, cioè totalmente sganciata da ogni elemento perturbatore e improprio, quale la rappresentazione narrativa e fuori di qualunque ordine estetico che aveva fino allora tiranneggiato ogni movimento. Le sue nature morte finalmente non sono nature morte, i ritratti non sono ritratti, baigneuses non sono baigneuses, ma tutto risponde a una precisa disciplina intima di un fattore rigorosamente pittorico” (1).
Nei primi anni di attività artistica, Reggiani recepisce dallo studio di Cézanne l’attenzione per la costruzione del quadro, sia nel colore che nella forma, alimentando l’interesse per la struttura e l’unità cromatica dell’immagine. Ma non è solo il maestro di Aix a colpire l’artista. Nel 1923 l’amico Giuseppe Graziosi lo introduce nell’ambiente artistico milanese, tanto che un anno dopo Reggiani decide di trasferire la propria residenza nel capoluogo lombardo. Entra così in contatto con il gruppo di Novecento sostenuto da Margherita Sarfatti: come sottolinea Luciano Caramel “nelle forme plasticamente robuste, nella squadrata essenzialità, nello spessore del colore” (2) sono evidenti le connessioni con le opere di Mario Sironi, Pietro Marussig e Achille Funi.
Un interessante riscontro rispetto a questa vicinanza poetica è l’olio su tavola Sulle colline modenesi (1928) – ultima acquisizione di Assicoop – la cui riproduzione compare nel 1929 sulla rivista «Emporium» (3). L’articolo Cronache d’arte italiana all’estero. Il “Novecento” a Nizza di Ugo Nebbia tratta della presenza italiana, guidata da Antonio Maraini, al XXXVI Salon annuale di Nizza presieduto da Charles Deudon, il primo dedicato agli stranieri presso la Società delle Belle Arti. Reggiani compare insieme ad altri novecentisti toscani e lombardi come Wildt, De Grada, Bacci, Borra, Carrà, Funi, Sironi e Marussig. Nebbia sottolinea come “va sempre più considerato anche negli ambienti stranieri certo animoso nostro spirito novecentesco” dove ci si sbarazza “da quell’orpello pericoloso di superficiale piacevolezza d’espressione e sensazione, fino a ieri giudicato unico esponente della nostra partecipazione ai problemi estetici contemporanei” (4). Citando Maraini inoltre rimarca la palese “cura della costruzione, della composizione, della sobrietà armoniosa della linea e del colore come nota dominante” in cui è “evidente lo spirito della tradizione e del carattere nazionale, al di fuori di tutto quanto può sembrare aspetto esterno e passeggero” (5). A questo proposito occorre ricordare come Margherita Sarfatti promuovesse una via sensibilista (inaugurata dagli Impressionisti), affiancata ad un purismo di matrice quattrocentesca: un ritorno alle figure terse del Quattrocento esplicitate a partire dal dato reale. Alla luce di questo, il richiamo all’ordine novecentista si traduce in Reggiani negli schematismi e nelle semplificazioni strutturali delle opere precedenti il 1934 – che senz’altro prefigurano il successivo approdo all’astrattismo.
Riprende Nebbia: “nudi, paesaggi, figure, nature morte, composti costruiti ed eseguiti colla stessa ricerca di chiarezza costruttiva, d’equilibrio e di perfezione espressiva. Nessun facile abbandono a piacevolezze formali. […] Se queste visioni tendono così a caratterizzarsi al confronto dell’arte cosmopolita che l’Europa va producendo, è merito ancora di questa risanata volontà che, in nome del Novecento, va ricercando le linee del nostro carattere e della nostra tradizione” (6).
Non va dimenticato che i paesaggi come Sulle colline modenesi tengono conto anche della lezione di Morandi, frequentato da Reggiani sempre più assiduamente a partire dal 1928. Di nuovo Caramel evidenzia in proposito come : “il tonalismo morandiano già forse si affaccia in altre vedute coeve […] ove una luminosità trepida si sposa alla greve scansione plastica” (7).

NOTE
(1) O. Bogliardi, V. Ghiringhelli, M. Reggiani, Dichiarazione degli espositori, in “Il Milione”, 8-22 novembre 1934.
(2) L. Caramel, Reggiani. Catalogo generale delle pitture, Milano 1990, p. 8.
(3) “Emporium”, 1929, Vol. LXIX, n. 413, p. 297.
(4) Ivi pp. 296-297.
(5) Ivi pp. 298-299.
(6) Ivi pp. 299-300.
(7) L. Caramel cit., p. 10.

(Francesca Mora, 2013)