La grande decorazione parietale:
un modello per la didattica.
Gli studi su Arcangelo Salvarani si sono da sempre orientati alla vasta produzione di acquerelli, il mezzo espressivo di gran lunga più utilizzato dal pittore modenese. A questa vicenda critica non sono di certo estranee ragioni di mercato che, oggi come nel passato, continuano a decretare la fortuna di un mezzo espressivo più rapido ed economico rispetto alla pittura tradizionale, molto apprezzato in particolare fra le due guerre. Risultano invece piuttosto trascurati, quando non completamente ignorati, altri aspetti della carriera di Salvarani, come l’attività di insegnante, esercitata al principio presso l’istituto Fermo Corni, dove il giovane pittore era incaricato di Disegno, poi presso la nuova cattedra di Pittura murale, creata dalla riforma scolastica del 1923 presso l’Istituto d’Arte Venturi. Altrettanto trascurata è stata la decorazione parietale, da Salvarani praticata fin dall’immediato primo dopoguerra fino almeno alla metà degli anni trenta. Per la maggior parte queste opere, tempere su muro ma anche grandi tele dipinte a olio, mancano ancora date precise, ma i giornali dell’epoca aiutano a orientarsi segnalando altresì la precoce fortuna riscontrata da questo artista: nel 1924 Il Falco, rivista carpigiana, nel recensire la mostra dedicata all’artista nella città natale, elenca come già realizzati gli interventi nell’aula magna del Corni, il soffitto della direzione nella sede della Banca Popolare, un dipinto su muro per il Credito Provinciale, e le pitture per la volta delle chiese di Montecorone (1919) e San Donnino di Liguria, queste ultime a completare il ciclo cristologico lasciato incompiuto da Gaetano Bellei (1). Lo stesso giornale dichiara ancora in corso d’opera le decorazioni della sede della Famiglia artistica, sempre a Modena (2). Nel 1927 Salvarani completa un altro ciclo lasciato incompiuto da Bellei realizzando, sulla volta della chiesa di Santa Maria di Mugnano, un Cristo riconosciuto da due Apostoli mentre spezza il pane (3), così come a questo torno di anni risale probabilmente anche la rappresentazione del santo eponimo nell’arco trionfale della chiesa di San Martino Carano, presso Mirandola. Il decennio si chiude con la realizzazione di un altro “affresco”, ma di cui sfortunatamente i giornali tacciono il soggetto, per la volta della cappella interna all’Istituto San Filippo Neri (4), dipinto poi andato perduto coi bombardamenti della primavera del 1944. Dal 1926 poi Salvarani inizia una fortunata attività di decorazione per alcuni dei numerosi teatri che andavano sorgendo un po’ ovunque nella provincia: il primo intervento, comprendente quattro allegorie delle Arti su tela, viene realizzato a Novi di Modena, cui fa presto seguito una versione più aggiornata dello stesso soggetto per il teatro di Concordia sul Secchia, mentre agli anni Trenta risale la realizzazione di un clipeo per il piccolo teatro del Collegio San Carlo di Modena. Sono in particolare proprio queste opere a trovare importanti ricadute nell’ambito didattico e a essere poste come modello di riferimento per i giovani allievi. Dal complesso di questi interventi emerge uno stile in cui le figure, rese con un forte senso di solidità plastica, risultano immerse in luminose atmosfere simboliste, ultime propaggini cittadine di questa cultura, certo ben nota a Salvarani fin dalla giovinezza (si veda ad esempio l’Autoritratto della Fondazione San Filippo Neri, risalente al 1905) (5). Queste caratteristiche si ritrovano in alcuni saggi presentati al Concorso Poletti negli anni venti: nel Muzio Scevola di Oscar Sorgato (1924) e ne La madre e il fanciullo di Nereo Annovi (1933) compare ad esempio lo stesso uso del controluce e i medesimi profili segnati da pennellate rosse che caratterizzano la Tragedia a Novi di Modena, così come luci colorate e corpi dai solidi contorni si ritrovano nei due Farinata, di Vittorio Magelli e di Rubens Pedrazzi (1929), così come nel Tramonto in valle dello stesso Magelli (6). Il soffitto del San Carlo costituisce un ulteriore passo avanti nel coinvolgimento degli allievi che, testimoni i documenti e le foto dell’epoca, presero parte direttamente alla trasposizione su muro del veloce bozzetto di Salvarani. Nella testa della Poesia è infatti possibile cogliere l’intervento di Gianni Cavani, come testimonia la fotografia di un disegno originale rintracciata nell’archivio di Camillo Verno (7). Alla luce di queste vicende va quindi ripensato il ruolo avuto dal pittore carpigiano nella formazione di un’ampia schiera di artisti modenesi, non limitata solo alla trasmissione della tecnica dell’acquerello, anche se per molti allievi le tracce di questa formazione si andarono ben presto perdendo.
NOTE
(1) Sulle pitture di San Donnino di Liguria si veda la scheda di approfondimento relativa a Gaetano Bellei.
(2) Mostra d’Arte, in “Il Falco”, 2 ottobre 1924.
(3) eppi, Visioni d’arte in una chiesa rurale, in “Gazzetta dell’Emilia”, 10-11 settembre 1927.
(4) Un affresco del prof. Salvarani nell’Istituto S. Filippo Neri, in “Gazzetta dell’Emilia”, 23-24 ottobre 1929.
(5) Si veda la scheda di chi scrive in T. Fiorini, F. Piccinini, L. Rivi (a cura di ), Museo Civico d’Arte di Modena. I dipinti dell’Ottocento e del Novecento, Modena 2013, p. 349.
(6) Per i saggi Poletti citati si vedano le schede n. 89, 96-97, 99 e 105 in T. Fiorini, F. Piccinini, L. Rivi… cit,, rispettivamente pp. 101, 103-105, 107.
(7) Quel che rimane dell’archivio di Camillo Verno, perlopiù vecchie fotografie di opere del pittore, è oggi diviso fra il Comune di Campertogno e una collezione privata di Mollia, in Valsesia.
(Tomas Fiorini, 2013)