Lo scultore e il nudo.
Nato a Spilamberto nel 1898, da ragazzo si iscrive all’Istituto di Belle Arti di Modena, licenziandosi in scultura nel 1921. Dopo qualche mese si trasferisce a Milano, città in cui, parallelamente alla sua attività artistica, intraprende quella di insegnante alla Scuola serale degli artefici di Brera ed al Liceo artistico. Prende parte a numerose esposizioni a carattere locale e anche a rassegne internazionali. È presente a mostre d’arte italiana a Barcellona, Budapest e Parigi e nella capitale francese riceve anche una medaglia d’oro. Lungo l’arco di tutta la sua carriera risulta vincitore di svariati premi e realizza un cospicuo numero di opere pubbliche, gran parte delle quali per la città di Milano: qui partecipa anche alla decorazione del Palazzo di Giustizia e del Palazzo della Provincia (1).
La produzione scultorea di Soli è incentrata prevalentemente sull’indagine della figura femminile: già alla XXI Mostra Triennale della Società di Incoraggiamento del 1927 riceve la medaglia d’argento per la sezione scultura con il gesso Nudo (2) e l’anno successivo viene premiato per un Nudo femminile al Premio Nazionale Baruzzi di Bologna; quest’ultima opera è caratterizzata da forme morbide e levigate che infondono grazia e compostezza e che rimandano alla scultura di Graziosi, il cui richiamo è evidente anche nella Modella che si china del 1925, rievocante la di poco precedente Bagnante del più anziano maestro. La lezione di Graziosi è ben apprezzabile nella prima produzione di Soli non solo per gli esiti formali raggiunti ma anche per la scelta di tematiche sociali, come dimostra il bronzo Il manovale (Raccolta Assicoop). È ascrivibile a una fase precoce della sua attività anche l’Adolescente (di nuovo in Raccolta Assicoop), confrontabile con altri nudi di giovinetti realizzati negli anni trenta, che si discosta dalle forme tornite e ancora accademiche dei saggi precedenti, esaltanti la fisicità e la muscolatura, per concentrarsi su un corpo acerbo, immoto e assorto, che denota un avvicinamento alla poetica di ‘Novecento’. Tale accostamento si fa più marcato a partire dalla fine dello stesso decennio, quando l’artista comincia a realizzare nudi femminili più stilizzati e di gusto arcaizzante, colti in svariate posizioni: prende il via allora la lunga serie di donne in piedi, accovacciate, sedute o sdraiate, immerse in atmosfere un po’ sospese e fuori dal tempo; talvolta i lineamenti sono appena abbozzati, talaltra è l’intera scultura ad avere un effetto di “non finito”.
Scrive Biasion che “già sulla metà degli anni trenta Soli individua il «tipo» sopra il quale concentrerà l’attenzione in molte delle successive opere, un nudo di donna dalle forme opulente, plasmate in un modo che nelle opere di piccole dimensioni, come i bozzetti in creta, si arricchisce facendosi più mosso e vario, contrapponendo le zone dove la mano si è fermata a definire e chiarificare levigando la superficie, a quelle trattate sommariamente con qualche tocco vivace” (3). Il campionario femminile di Soli spazia da evanescenti figurette di bambine e fragili adolescenti, a donne abbondanti, solide e piene, di impianto massiccio. Sono figure sorprese nel sonno, in atteggiamenti meditativi o in momenti privati: ne sono esempio, entrambi realizzati negli anni quaranta, la Figura di donna seduta a terra e il Nudo di ragazza dormiente (Raccolta Assicoop), che tanto evoca la scultura di Arturo Martini. L’interesse dello scultore sembra rivolto all’“eterno femminino”, alla donna nei suoi molteplici aspetti e all’idea di bellezza che incarna, oltre il contingente e al di là della storia. Come rileva Monteverdi in un articolo del 1959, Soli appare “romanico per la squadratura bloccata – eppure fluida – della forma” e insieme “classico nella serena conquista d’un ideale di bellezza non edonistica ma sostanziale, e moderno nella facoltà di suggerire, abbreviare, sintetizzare”; le sue sono “figure raccolte ed espanse ad un tempo che sembrano fondere la greca concezione della forma umana resa eroica, semi-divina, con la più sacrificata, castigata etica degli scultori romanici” (4). Significativa, dunque, la testimonianza di Francesco Messina secondo la quale l’artista vignolese teneva sempre con sé la cartolina di una delle metope del Duomo, quella dell’Ermafrodito, interpretata come simbolo di fecondità (5).
La varietà di materiali sperimentata da Soli nella sua produzione sembra rifarsi a una pratica consolidata nell’ambito della cultura novecentista: bronzo, legno, terracotta, gesso, cera conferiscono alle superfici effetti volta a volta differenti, che vanno da profili completamente levigati, raggiungono esiti più mossi, come nel caso dell’aggraziato Nudo femminile in bronzo in questa Raccolta, e approdano infine ai modellati vibranti e sfaldati, incerti e fragili, delle longilinee fanciulle degli ultimi anni. Raffaele De Grada, nel catalogo della mostra organizzata a Vignola nel 1998, rileva che “quella del Novecento era la sua estetica, lontana sia dal gretto verismo come dalle contorsioni espressioniste, sicura nell’alveo di un concetto classico della forma […] Queste modelle formose […] che si chinano ostentando l’opulenza femminile e questi nudi seduti […] inondati frontalmente da una luce fresca come la loro gioventù, posseggono gli elementi essenziali della plastica di tutti i tempi, puri e dignitosi oggi come ieri e come lo saranno anche domani” (6).
NOTE
(1) Recentemente, per la figura di Soli, E. Montecchi (scheda) in F. Piccinini, L. Rivi (a cura di), Arte a Modena tra Otto e Novecento. La raccolta Assicoop Modena Unipol Assicurazioni, Modena 2008, pp. 165-167; E. Montecchi (scheda) in F. Piccinini, L. Rivi, C. Stefani (a cura di), Forme e figure. Modena e la scultura nella prima metà del ‘900, Modena 2011, pp. 74, 75, 86, 87, 100, 111 (con bibliografia).
(2) L’assegnazione dei premi alla XXI mostra triennale d’arte, in “Gazzetta dell’Emilia”, 8-9 luglio 1927.
(3) Ivo Soli. Mostra antologica, con presentazione di R. Biason, Bologna 1979.
(4) M. Monteverdi, Tradizione e modernità nella scultura di Ivo Soli, in “Gazzetta dell’Emilia”, 28 aprile 1959.
(5) Il ricordo di Messina si trova in Ivo Soli. Mostra antologica, cit.
(6) R. De Grada, M. Fuoco, F. Veronesi, Ivo Soli, Savignano sul Panaro 1998.
(Francesca Fontana, 2013)