VACCARI WAINER

La storia e le metamorfosi della figura.

Nascere nel 1949 significa, per Wainer Vaccari, appartenere a quella generazione di artisti che predilige un ritorno alle modalità espressive tradizionali, riconducibili essenzialmente alla pittura e alla scultura; significa operare, negli anni ottanta, insieme agli esponenti della Transavanguardia, della Pittura colta o ai cosiddetti Anacronisti – solo per citare alcune correnti emerse in quel periodo – e sentire il bisogno di riallacciare un rapporto di continuità con il vasto repertorio della storia dell’arte, con i “pezzi” da museo che, nel caso di Vaccari, si possono rintracciare tanto nella Neue Sachlichkeit quanto nella tradizione pittorica modenese. Già dall’osservazione delle sue prime opere si nota una padronanza sapiente della pittura a olio e della tecnica della velatura che, insieme alle cupe cromie violacee, riconducono anche alla lezione di Nereo Annovi. Otto Dix, George Grosz e in particolare Christian Schad, invece, costituiscono importanti riferimenti giovanili, dai quali Vaccari trae l’interesse per la figura umana, rappresentata attraverso una plasticità ostentata e illusoria, sottoposta talvolta a impietose deformazioni.
Come scrive Enzo Bargiacchi nel 1982 “nella maggior parte dei lavori che ritornano a tecniche pittoriche tradizionali c’è un insopportabile senso di accademismo, di rappresentatività esteriore, di scelta deliberata e non profondamente maturata e, in sostanza, un gelo che impedisce la vita; è per questo che risalta l’originalità assoluta di Vaccari, dove l’anacronismo pittorico […] discende da un inconscio rifiuto dell’accademismo avanguardistico e si connette ad un interesse, attuale ed effettivo, per l’uomo” (1). Più che un interesse, l’uomo è per Vaccari una condicio sine qua non della rappresentazione, un elemento imprescindibile della propria poetica. È molto chiara Noemi Smolik quando, nel 1999, sostiene che le tele dell’artista “sprigionano un coro polifonico e assordante di corpi”, evidenziando come questi ultimi costituiscano in realtà “un soggetto in trasformazione, una grandezza variabile” (2). A ben vedere, nelle opere realizzate tra il 1983 e il 1999, troviamo uomini raffigurati nella medesima posa, per lo più frontale o di profilo, ripetuti ossessivamente come pattern corpulenti, chiamati a formare sulla tela giochi lineari, prevalentemente verticali, orizzontali e diagonali, che palesano con i loro andamenti, la bidimensionalità della tela stessa. Se osserviamo la sapiente distribuzione degli arti del San Cristoforo (1990), inoltre, notiamo l’emergere di una decisiva forza iconica, che riduce la figura ad uno schema sintetico a “x”, rimarcato dalla diagonale del bastone impugnato dal santo. Anche lo sfondo concorre allo stesso scopo: scandito in fasce orizzontali, si assottiglia quanto può per lasciare spazio (bidimensionale) alla figura umana posta al centro. Resa ancora realisticamente e sostenuta dalla solidità del disegno, potremmo dire tuttavia che la figura del Santo è omologa alle icone fluttuanti degli odierni monitor per computer. Se pensiamo agli sviluppi successivi dello stile dell’artista, capiamo che il paragone non è poi così azzardato.
La mostra personale del 2001 Il ring della Pittura, presentata alla Galleria Mario Mazzoli di Modena, costituisce un passaggio importante nell’evoluzione dello stile di Vaccari. Come rivela lo Scacchista (2000) – che di quella mostra faceva parte – gli elementi ambientali dello sfondo spariscono definitivamente, riducendolo ad una “schermata” bianca, mentre la figura umana subisce un processo di astrazione ulteriore: inizia a disgregarsi attraverso pennellate brulicanti, liberando quegli elementi lineari della superficie che prima erano trattenuti all’interno dei corpi. Come non ravvisare in questo le interfacce video che mediano la nostra quotidianità? La risposta la fornisce l’antropologo Franco La Cecla, nel 2010, quando a proposito della personale Elevation sostiene che “il risultato è un mondo da ‘acquario’, le facce, i movimenti, la rete, il calcio o il colpo di mano sono più reali del reale, al punto da farci continuamente dubitare di quello che vediamo. […] Ci sono tracce di pixels, tratti che fanno pensare a disturbi del reticolo televisivo, facce e corpi che raccontano la perfezione con la quale noi assorbiamo le immagini perfette dei giocatori. […] Oggi la sfera celeste è la sfera magica dei media, la sfera attraverso la quale le stesse immagini di Vaccari vengono evocate. Il lavoro di Vaccari è una riflessione sulla riflessione, una riflessione sull’immagine del reale mediata dall’immagine su uno schermo (3).

NOTE
(1) E. Bargiacchi, Prefazione, in E. Bargiacchi (a cura di), Forme senza forma, Modena 1982, p 27.
(2) N. Smolik, Wainer Vaccari nella collezione Grosshaus, Kunsthalle Wilhelmshaven 1999, pp. 36, 38.
(3) F. La Cecla, Prefazione, in F. La Cecla, W. Vaccari, L. Turrini, Elevation. Opere, Comune di Modena 2010, p. 5.

(Francesca Mora, 2013)