ANDREA CHIESI

Andrea Chiesi

 

Modena 1966

 

Andrea Chiesi nasce a Modena il 6 novembre 1966, vive e lavora tra San Pancrazio (MO) e Milano. Dal 2022 è docente di disegno e pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Brera, Milano, dopo aver collaborato con le Accademie di Belle Arti di Ravenna, Macerata, Bologna, Perugia e Catanzaro.

Disegnatore e pittore autodidatta, affonda le sue radici nel terreno della controcultura emiliana: negli anni Ottanta frequenta centri sociali come il Tuwat di Carpi o il Forte Prenestino di Roma, ascolta le sonorità di Radio Antenna Uno Rockstation e disegna fumetti per fanzine e riviste indipendenti come «Sciacallo Elettronico», «Frigidaire», «Tempi Supplementari», «Equilibrio Precario».

Affascinato dai movimenti punk e postpunk, nei primi anni Novanta collabora con il gruppo bergamasco di musica e teatro sperimentale Officine Schwartz per il quale realizza copertine di album, manifesti e performance. Emergono qui i principali temi che si svilupperanno nella sua successiva produzione pittorica: l’alienazione, il lavoro, la fabbrica, l’industria pesante e l’archeologia industriale.

Nel 1991, nella mostra collettiva “Babilonia, nostalgia sui muri” a Palazzo Ruini di Reggio Emilia, espone una grande opera, eseguita con la tecnica dell’encausto insieme a Giancarlo Guidotti, dove figure concitate e “brutali” mettono in scena una lotta di antica memoria.

Queste figure aliene (o alienate) popolano le opere dell’artista lungo tutto il decennio, in particolare nella serie di Taccuini, realizzati ad inchiostro su carta, dove il repertorio dis-umano si amplia e diversifica per movenze e posizioni, ma non per consistenza: figure monocrome si divincolano nello spazio della carta avvolte da un blob oscuro.

Del 1998 è la mostra “L’apocalisse di Giovanni – cantiere artistico di fine millennio” allestita ai Chiostri abbandonati di San Pietro a Reggio Emilia, con testi e declamazioni di Giovanni Lindo Ferretti e musiche dei C.S.I.. Per l’artista la mostra sancisce la fine di un percorso: i suoi inchiostri su carta dalle tonalità nero-violacee presentano corpi, deposizioni e strutture fatiscenti, le stesse che incontra durante le esplorazioni clandestine nelle zone periferiche e nei luoghi abbandonati delle città. 

 

Da oltre 30 anni vado in giro a cercare edifici abbandonati, fabbriche, relitti dimenticati, zone industriali qualche volta periferie e porti… la mia non è una mappatura dell’archeologia industriale, né il lavoro scientifico di un architetto o un urbanista. Io sono un pittore e sono mosso da un sentimento di irrequietezza, da stati emotivi, da empatie. Non so cosa accadrà a questi luoghi, li trovo abbandonati, li osservo e li dipingo. Li sento vicini a me, simili a me. In quel silenzio io agisco (Andrea Chiesi. Eschatos 2019, p. 147).

 

Dal 1999 la tecnica ad olio su tela, in particolare su tela di lino, assume un ruolo preponderante. Non solo. Lo sguardo dell’artista si concentra sempre di più sul paesaggio urbano, partendo dai singoli elementi di archeologia industriale come gru, gasometri, carroponti, via via allargandosi a fabbriche dismesse, ex acciaierie, quartieri abbandonati, nella totale assenza della figura umana. 

La serie di dipinti G.R.U. (acronimo di “Grande Rumore Universale”, omaggio all’omonima composizione di Officine Schwartz) esposta per la prima volta nel 2000 alla Galleria Maurizio Corraini di Mantova dà corpo a monumentali macchine in disuso percorse da una particolare forza endogena. Le prospettive e i tagli di queste immagini derivano da scatti fotografici che Chiesi realizza durante le sue esplorazioni, utilizzando la macchina fotografica come strumento di appunti da rielaborare in studio sulla tela, in un tempo lento e meditativo.

Secondo Mario Bertoni, quella di Chiesi non è una pittura di rappresentazione, bensì “uno studio attento e capillare per estrarre dal reale tutto ciò che lo proietta in una zona indeterminata, dove specularità, riflessi, geometrie, volumetrie strutturano il campo visivo e diventano gli autentici protagonisti del suo universo” (Bertoni 2012).

Del 2004 è la serie La Casa, oli su tela realizzati durante un periodo di isolamento: l’artista dipinge soggetti apparentemente anonimi visti dalla finestra della sua abitazione, ovvero una strada, un parcheggio, una macchina in sosta, un campetto, un parco giochi, cieli e temporali… portandoli dalla sfera dell’ordinario ad una dimensione “altra”, plasmata da una luce diretta che contrasta nettamente con l’oscurità del paesaggio. La serie viene esposta nella mostra omonima a cura di Luca Beatrice, presso la Otto Gallery di Bologna nel 2004 e pubblicata in catalogo insieme ad un racconto di Simona Vinci (La Casa 2004).

 La luce diventa pervasiva e si espande verso una cristallizzazione capillare nella serie di oli su lino Tempo (2004-2006), di cui un esemplare vince nel 2004 il Premio Cairo. Qui le strutture di metallo e cemento armato di ex capannoni abbandonati si assottigliano, diventano traslucenti, in un processo di astrazione che le riduce a forme geometriche leggere e reiterate. Nel decennio successivo l’artista si sposta tra Brooklyn (2010), Berlino (2011), e Pechino (2015). Le sue opere riportano in una prospettiva sempre più allargata lo skyline delle città, dominate dall’assenza dell’uomo. Il percorso artistico si sviluppa parallelamente all’indagine della dimensione spirituale da parte dell’artista, che si avvicina all’induismo e in particolare al buddismo tibetano. Questo percorso è suggerito anche dal titolo di alcune delle sue opere, come la serie Kali Yuga (2006-2009), frutto di un’incursione nell’area dell’ex acciaieria di Cornigliano, Genova – o Karma (2015) presentata per la prima volta nella mostra personale “City of God” presso la galleria Being3 di Pechino. Una tela della serie Kali Yuga vince nel 2008 il Premio Terna per l’arte contemporanea e successivamente viene esposta al Chelsea Museum di New York.


Dalla serie La casa (2004) in cui l’artista ritrae porzioni di realtà ravvicinate attraverso una finestra, alla serie Kriptoi (2007) dedicata alle Ex Manifatture Tabacchi di Milano e Modena in cui l’allontanamento dello sguardo permette di abbracciare territori più vasti, dalla serie Perpetuum(2011) dove vige il protagonismo indiscusso delle aree dimesse alla serie Ucronie (2013) consacrata alla sospensione temporale fino alla recente Karma (2015) la possibilità di scorgere punti di contatto è in costante crescita. Come fosse una sola grande raffigurazione di un orizzonte continuo, proprio come quello reale che corre tutto intorno la circonferenza terrestre (Musso 2016, p. 6).

 

Nella serie Ucronie (2012-14) – di cui parte degli oli è stata esposta all’Istituto Italiano di Cultura di New York dopo la vittoria del Gotham Prize (2012) – e in maniera ancora più evidente nella serie Karma (2016-17), la superficie pittorica inizia ad animarsi. La dura geometria delle opere precedenti si dissolve in pennellate più morbide e disgregate. Anche il soggetto muta. Il paesaggio mostra nuove forme di vita: edere, erbacce, piante selvatiche che colonizzano i luoghi abbandonati, come in un ciclo di eterno ritorno. 


Non ricordo la prima volta in cui entrai nelle Ex Fonderie Riunite di Modena, da bambino mi apparivano gigantesche ed esercitavano un richiamo irresistibile. (…) Vent’anni dopo sono tornato in quel luogo. È ancora ben conservato, in gran parte privo di copertura, si sono aggiunte molte opere di writer, ma soprattutto ho trovato la natura. Un bosco dentro alla fabbrica (Andrea Chiesi. Eschatos 2019, p. 15).

 

Tra il 2017 e il 2019 Chiesi dipinge la serie Eschatos, i luoghi ultimi, emblemi del “Terzo paesaggio” teorizzato da Gilles Clément (Clément 2016), dove la natura si riappropria dello spazio e costituisce un nuovo habitat. Come in un percorso di liberazione (dalle rigide geometrie del decennio precedente), l’energia della natura prende il sopravvento e si “trasfigura” nelle tele più recenti, come accade nelle opere esposte nel 2023 nella mostra Natura naturans, a cura di Flaminio Gualdoni, presso la Galleria Monopoli di Milano (Gualdoni 2023). Davanti a noi non c’è nulla di bucolico, solo una nuova soglia da superare, oltre la quale può manifestarsi qualcosa di terribile o di eternamente salvifico.

 

Riferimenti bibliografici

L’Apocalisse di Giovanni…1998; Andrea Chiesi…2003; La Casa…2004; Sciaccaluga…2007; Fanelli…2009; Bertoni…2012; Musso…2016, p. 6; Clément…2016; Andrea Chiesi. Eschatos…2019, pp. 15, 147; Andrea Chiesi. Natura vincit…2021; Gualdoni…2023.

Francesca Mora (2023)