Annibale Zucchini

Ferrara 1891 – Garbagnate Milanese 1970

Appartenente a una agiata famiglia ferrarese, dopo aver conseguito il diploma nel 1915 all’Istituto Superiore di Architettura di Roma, Annibale Zucchini accetta l’impiego presso gli stabilimenti siderurgici dell’Ansaldo di Genova e nello stesso tempo aderisce al movimento futurista ligure. Mantenendo comunque un indirizzo autonomo rispetto all’avanguardia, Zucchini “disegnò, dipinse e scoprì che lo studio dell’architettura gli aveva lasciato in eredità una dimestichezza con i problemi della forma, dei volumi modellati che gli diede l’avvio preciso di quello che sarebbe stata la sua vita” (Bassi in Annibale Zucchini 1972, p. 15).

Dopo la tragica perdita del fratello Ivo sul fronte militare e una volta conclusa la Grande Guerra, Zucchini rientra a Ferrara per stare vicino alla madre. Nella sua città lavora presso lo studio dell’ingegnere Ciro Contini, progettista di Villa Melchiorri, simbolo del liberty ferrarese, dove riesce ad ampliare le relazioni professionali e amicali. Incontra Corrado Govoni, con il quale instaura una solida amicizia che durerà tutta la vita: i sinceri ritratti del poeta di Tamara, realizzati in gesso e bronzo tra 1938 e 1939, sono i segni tangibili della loro non comune affinità intellettuale. Agli anni Venti risale anche la conoscenza di Filippo de Pisis, come testimonia il disegno che Zucchini realizza per la bellissima copertina de La città dalle 100 meraviglie, metafisica autobiografia depisisiana, pubblicata nel 1923 a Roma dalla Casa d’Arte Bragaglia. A riprova della lunga stima reciproca, il marchesino pittore riceverà dopo diversi anni un malinconico Pierrot in terracotta, accanto al quale “fioriscono delle salvie (splendens) di un rosso ardente” (trascrizione della cartolina inviata da De Pisis a Zucchini il 20 ottobre 1944: ivi, p. 28).

Intanto, gli interessi artistici sempre più calamitati dalla scultura sono tradotti da Zucchini nelle cosiddette “teste futuriste”: realizzate tra il 1918 e il 1925, testimoniano un approccio analitico rispetto al futurismo, memore degli studi di architettura. Queste opere sono concepite sulla elaborazione sintetica della fisionomia umana e sui rigorosi moduli geometrici che ricordano di primo acchito quelli di Boccioni, ma che rivelano altresì le indagini sul cubismo francese e sul dinamismo plastico di Roberto Melli. Non si deve inoltre tralasciare la forte suggestione della lirica di Govoni sull’arte di Zucchini, specialmente quella esercitata dalla raccolta di poesie L’inaugurazione della primavera (1915). D’altra parte, la cultura letteraria dello scultore è confermata dalla sua ben fornita biblioteca, dove gli autori prediletti sono Govoni, Eluard e Musil. 

Tra il 1925 e il 1930 si dedica alla serie dei Giganti, ossia sculture alte quasi due metri. Le sperimentazioni futuriste sono oramai alle spalle e Zucchini si focalizza sull’opera di Arturo Martini. Le vigorose forme del Gigante 1, di Adamo ed Eva o del Pastore evidenziano un arcaismo che al di là dei temi e soggetti affrontati abbraccerà tutta la sua produzione.

Sono gli anni in cui avvia anche il lungo ciclo dei ritratti: apparizioni di un mondo semplice ma ricco di sostanza sentimentale in sintonia “con le soluzioni plastiche di Antonietta Raphael” (Brunelli in Annibale Zucchini 2004, p. 15).

Rispetto alla tranquilla provincia ferrarese, Roma in tale fase diventa un importante approdo di aggiornamento culturale. Nel 1927 entra in contatto con la Scuola Romana e la frequenta stabilmente dal 1932 al 1935. Qui costruisce legami stretti con Fausto Pirandello, Roberto Melli, Emanuele Cavalli e Giuseppe Capogrossi; inoltre, collabora nello studio di Marcello Piacentini. Nel 1932 espone al Circolo delle Arti, dal 1935 al 1955 partecipa a quasi tutte le Quadriennali e nel 1936 l’artista è alla IV Mostra del Sindacato Fascista Belle Arti del Lazio.

Raggiunge Milano nel 1942, dove espone con il gruppo di Corrente nella galleria di Via della Spiga e inaugura una personale alla Galleria Gian Ferrari. Durante queste esperienze milanesi, animate dalla serie dei Pagliacci, Clowns e Pierrot in terracotta o in bronzo, stringe amicizia con Carlo Bassi e con Gio Ponti. Sempre nel 1942, quest’ultimo affida alla sua rivista “Stile” una delle letture più lucide e sensibili riguardanti il lavoro del ferrarese: “Le qualità umane e plastiche delle sculture di Zucchini, che gli valgono la stima di artisti come Tosi, de Pisis, Bartolini, Mafai, Pirandello eccetera raggiungeranno presto un profondo riconoscimento. […] egli sa trasporre in una espressione di alto valore plastico fisionomie e tratti di umana e commossa verità, di una aderenza a tipi umani scavata e sentita profondamente e che noi riconosciamo e penetriamo se sappiamo guardare a lungo queste figure” (ivi, p. 17). Ponti gli offre anche la possibilità di lavorare nello studio che è stato di Arturo Martini, un piccolo locale all’interno della sua casa, facilitandogli così l’attività espositiva in Milano. Nel 1946 si data la personale alla Galleria Santo Spirito e di seguito partecipa con una scultura e due disegni al Premio di Scultura della Galleria della Spiga e Corrente; nel 1947 un’altra personale alla Galleria Bergamini, dove trova il sostegno anche del letterato concittadino Giuseppe Ravegnani.

In seguito alla morte della madre, la produzione di Zucchini si avvicina significativamente alla dimensione religiosa. Inizia il ciclo delle Pietà, “altro lungo percorso artistico, anche se la costante assenza di date in tutte le opere rende difficile la loro collocazione precisa.  Da puro simbolo del dolore e della morte […] diventa a poco a poco indagine di volume, costruzione architettonica […]” (Bassi in Annibale Zucchini 1972, p. 19). Alcuni esempi: la Pietà partigiana (1946; concessa in deposito al Liceo Ariosto dalle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara), quella per la chiesa parrocchiale di Sant’Anselmo a Malcantone (Mantova, c. 1946) e quella posta nel portale d’ingresso della Cappella dei Caduti per la Libertà nella Certosa di Ferrara (c. 1947). In tale contesto Zucchini inizia a utilizzare il legno, materiale che gli diventerà congeniale lungo tutto l’arco della sua carriera. Confrontandosi con l’antico, Ernst Barlach e Ossip Zadkine, le forme scabre ed espressioniste restituiscono appieno questo doloroso passaggio esistenziale.

Il carattere schivo di Zucchini e la ricerca di solitudine tra le quattro mura del suo studio ferrarese, non diminuiscono l’altrettanta esigenza di tenersi informato sulle vicende e le novità esterne, attraverso continue corrispondenze con gli amici e con i più importanti esponenti della cultura del tempo. Tra questi, ricordiamo Giorgio Bassani, coinvolto insieme a Melli nella promozione della sua arte a Roma.

Nel 1951 espone nuovamente alla Bergamini di Milano e gli viene assegnato a Ferrara il Premio Niccolini per la sezione scultura. 

Più o meno dagli anni Cinquanta, Zucchini esplora il corpo in movimento o ripreso in posture particolari. Opere come il Ratto delle Sabine, Bimbo che fa le capriole, Ragazza che si sveste o Ragazza che si pettina e poi la galleria di ballerine, acrobate o tuffatrici (tra il 1950 e il 1960) offrono una vasta gamma di gesti e contorsioni audaci. A questa fase potrebbe appartenere Figura con animale della collezione Assicoop, una piccola terracotta vicina stilisticamente al gesso colorato raffigurante Uomo con gatto del 1949 circa (Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara; cfr. Bassi in Annibale Zucchini 1972, p. 106 e p. 139 n. 2). Raggiunto un nutrito catalogo di sculture, Zucchini inizia a raccogliere quelle che ritiene più rappresentative della sua sfera poetica, allestendole in una sorta di museo privato all’ultimo piano della casa di Ferrara. 

Franco Russoli presenta una sua selezione di opere nel 1960 alla Galleria Pater di Milano, città poi scelta da Zucchini per vivere e lavorare nei mesi invernali. È il tempo della sperimentazione astratta, già anticipata nel 1958 con Gli uccelli e portata avanti recuperando alcuni soggetti precedenti, dalle danzatrici al tema della Pietà. Nel 1961 espone in una collettiva al Museo di Saint Etienne, e l’anno successivo alla collettiva della Galleria Pagani di Milano. 

A partire dal 1965 si reca spesso a Parigi, dove approfondisce i rapporti con il contesto artistico. Risale al 1965 la personale presso la Galerie des Jeunes, l’anno successivo e nel 1968 partecipa a due edizioni della Biennali di “Formes Humaines”, allestite nel Museo Rodin, mentre nel 1969 gli dedica una personale la Galerie Artemont. Diversi critici parigini commentano l’opera del ferrarese, tra cui va ricordato Waldemar George per l’attenzione rivolta alla “fascinazione primordiale esercitata dai Totem”, l’ultimo grande ciclo dell’artista. Le sculture totemiche “hanno la maestà delle querce decapitate ma con le radici ben profonde” e nello stesso tempo rievocano la suggestione contemporanea di Constantin Brancusi, Hans Arp, Henry Moore e Alberto Viani (Brunelli in Annibale Zucchini 2004, pp. 23-24).

Lasciando incompiuta L’ultima opera, Zucchini si spegne il 9 febbraio del 1970 a Garbagnate Milanese. Risale al 1972 la rassegna che avvia una significativa ricostruzione della sua opera, organizzata da Bassi ai Diamanti. Questi, sempre a Ferrara, curerà nel 1977 una mostra nella Galleria La Faretra, incentrata sul sodalizio fra Govoni e lo scultore (ivi, p. 14 nota 8).

Riferimenti bibliografici: Annibale Zucchini 1972; Annibale Zucchini 2004;

(Lorenza Roversi, 2023)