Modena, 1878 – Milano, 1942
Augusto Baracchi nasce a Modena il 28 febbraio del 1878. La formazione iniziale dell’artista non è ancora stata chiarita con certezza, in particolare mancano riscontri riguardo un possibile alunnato presso Salvatore Postiglione all’interno dell’Istituto di Belle Arti. Non del tutto certa è anche la frequentazione della Scuola libera del nudo, mentre assodato pare essere il rapporto già in giovane età con Giuseppe Graziosi. All’artista savignanese Baracchi sarebbe debitore in particolare per essere stato da questi introdotto nel mondo delle tecniche incisorie, alle quali dedicherà poi ampio spazio all’interno del proprio percorso artistico. Nel 1895, ancora diciassettenne, esordisce alla Triennale della Società d’Incoraggiamento: un appuntamento, questo, che negli anni successivi e fino alla morte lo vedrà partecipare a quasi tutte le edizioni della manifestazione. Nelle edizioni seguenti riceve i primi riconoscimenti: nel 97 Studio dal vero ottiene la medaglia d’argento del Ministero della Pubblica Istruzione, nel 1901 e nel 1903 riceve invece due medaglie di bronzo e vende alcune opere, tra le quali Ultima ora, passata allo stesso Ministero per la cifra di duecento lire. In questi anni è forte il debito di Baracchi nei confronti di Graziosi, alla cui poetica, legata a temi del mondo contadino, egli sembra uniformarsi. Così la tela esposta nel 12, sempre alla Triennale, porta un titolo significativo: La mietitura. Negli stessi anni si collocano anche i primi passi di Baracchi nel campo dell’illustrazione e della grafica: nel primo quindicennio del secolo si situa la collaborazione col giornale satirico diretto da Umberto Tirelli, Il duca Borso, al quale partecipano alcune delle figure più importanti dell’ambiente artistico modenese, come Ruini, Bellei e Cappelli. Nel terzo decennio Baracchi ripete l’esperienza dalle pagine de Il gatto bigio, rivista tirata per appena un biennio, ma ancora una volta con grandi nomi dell’illustrazione locale: si ricordino Jodi, già collaboratore di Tirelli al Duca Borso, Zoboli, Reggianini e Molinari. Dopo la guerra l’artista comincia a esporre con sempre maggior frequenza le sue stampe, spesso all’acquaforte, ottenendo lusinghieri risultati: nel 1922 al concorso Acquaderni di Bologna gli viene assegnata la medaglia d’argento, ma soprattutto nello stesso anno inizia la fortunata partecipazione alle Biennali d’Arte di Venezia, città nella quale esporrà per ben cinque edizioni consecutive. Alla prima edizione cui prende parte porta alcune incisioni ancora legate al mondo rurale modenese, dedicate in particolare al paese appenninico di Fiumalbo. Nel biennio successivo inizia invece la ripresa di grandi monumenti, in anni in cui la retorica fascista tenta di creare un’identità comune, sulla base di tracce di un passato di riconosciuto valore nazionale. Nel 1924 espone la Basilica di S. Francesco, la quale, insieme ad alcune vedute di Assisi, gli varrà tre anni più tardi un premio alla Mostra internazionale francescana nella città umbra. Gli anni trenta segnano una più stretta adesione alla retorica di regime: Baracchi inizia in questi anni a produrre i settanta disegni raffiguranti le Vestigia della Roma imperiale, scorci della città eterna in cui i monumenti si stagliano soli a occupare l’intera scena, in un dialogo con le testimonianze di epoche successive dal chiaro significato. Si veda a questo proposito Foro d’Augusto (Raccolta Assicoop Modena Unipol), una delle poche acqueforti effettivamente realizzate, dove le colonne antiche servono a inquadrare i simboli del potere nella retorica dell’epoca: l’antica basilica da un lato e il monumento a Vittorio Emanuele dall’altro. La consonanza con gli intenti del Regime viene riconosciuta ufficialmente al ciclo di stampe con il premio assegnato dall’Accademia d’Italia. Ma non sono solo monumenti di un mitico passato nazionale a impegnare l’artista; anche la celebrazione di moderne opere destinate alla grandezza dell’Italia rientra tra i suoi soggetti. Nasce così da un invito della commissione della Biennale del 1930 la serie delle vedute di dighe venete e sarde, anch’esse ripagate dal primo premio. Il numero di esposizioni cui l’artista prende parte in questi anni è assai elevato, sia a Modena alle varie Triennali o alla Mostra del Centenario Tassoniano, sia in altre città italiane. Il mercato modenese però pare non offrirgli grandi opportunità ed è per questo, probabilmente, che nel 1936 Baracchi decide di trasferirsi a Milano, dove è costretto a mettere in secondo piano la ricerca grafica per dedicarsi maggiormente alla pittura a olio, più gradita al mercato lombardo. L’ultima partecipazione alla Biennale veneziana, nel 1938, lo vede presente con una sola acquaforte, Basilica di S. Lorenzo, ancora una volta nel segno della celebrazione dell’Italia romana e cattolica. A una fase tarda dell’attività dell’artista, tra gli anni venti e trenta, sono da assegnare i due paesaggi a olio in collezione Assicoop Unipol, il primo, Veduta di Vignola, dal taglio inusuale e dalla vivace resa dei colori, mentre il secondo, Paesaggio innevato, impostato su un’inquadratura alquanto tradizionale e su una tavolozza diligentemente accordata. È a Milano che Augusto Baracchi muore il 4 agosto 1942.
Riferimenti bibliografici: Società d’Incoraggiamento…1897; I premiati…1901; Società d’Incoraggiamento…1903; Coen 1912; Alla famiglia…1922; La morte…1942; Fuoco 1993, pp. 47-48; Bellei Pecoraro 1996, pp. 43-46 e 65-72; Martinelli Braglia 1997, p. 106; Stefani, in Piccinini Rivi 2001, pp. 105-117.
(Tomas Fiorini, 2008)