Pavullo nel Frignano (Modena), 1914 – Modena, 1986
Emilio Bortolucci, soprannominato Tato, nasce a Pavullo nel Frignano nel 1914 in una storica e colta famiglia frignanese: il padre era farmacista e la madre insegnante. A soli due anni, a causa di un trauma, è colpito da una forma di sordità permanente che condizionerà tutta la sua vita, sebbene la famiglia abbia cercato di porre rimedio al danno sia medicalmente che con un congruo supporto educativo e didattico. Riceve infatti l’educazione elementare e primaria presso scuole specializzate in deficit auditivi; in queste strutture si scoprono il talento e la vocazione artistica di Bortolucci. Segue dunque gli insegnamenti di Elpidio Bertoli e Leo Masinelli e completa la sua formazione artistica frequentando i corsi serali di figura e nudo presso l’Istituto Venturi. L’attività espositiva inizia ufficialmente con la mostra allestita dalla Società di Incoraggiamento per gli artisti modenesi presso gli ambienti del Palazzo Comunale di Modena nel 1933. Presenta incisioni all’acquaforte che riscuotono apprezzamenti. Dopo il fortunato esordio, l’attività espositiva di Bortolucci prosegue con costanza in ambito soprattutto regionale, spaziando tra la provincia modenese e Bologna, se si esclude la mostra veneziana del 1936. Dal dopoguerra la carriera artistica di Bortolucci vede uno slancio di respiro nazionale e, dai primi anni Sessanta, anche internazionale. Del 1947 sono il primo premio al concorso della Fiera di Gonzaga e la partecipazione alla Biennale Nazionale di Pittura di Milano, in occasione della quale ottiene un premio acquisto. Partecipa nuovamente alla Biennale di Milano nel 1948 e nel 1955. Nel 1949 è la volta del premio acquisto presso la Mostra per le manifestazioni Colombiane a Genova; riceve il medesimo premio anche presso il Premio Nazionale Modigliani di Livorno nel 1955. Sulla metà degli anni Cinquanta Bortolotti si afferma definitivamente come valente pittore e incisore professionista: nel settembre del 1956 ottiene il primo premio al Concorso Nazionale di Pittura della Fiera Millenaria di Gonzaga dalla giuria composta da Villani, Marussi, Marchiori, De Grada e De Micheli, in buona sostanza i medesimi giurati del Premio Luzzara, e poco dopo ottiene un premio acquisto per l’incisione presso la Triennale di Milano. Tra la seconda metà degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta ottiene diversi premi e riconoscimenti: nel 1957 il primo premio al concorso “Citta di Modena” e un premio acquisto alla mostra reggiana “Città del Tricolore”, l’anno successivo il primo premio al concorso nazionale modenese “Il mondo della scuola”, nel 1959 il primo premio al concorso “A. Roncaglia” di San Felice sul Panaro e, l’anno successivo, il secondo premio al medesimo concorso e il primo premio al Concorso di Castelnovo Monti, infine, nel 1962, due premi acquisto nell’ambito del Concorso per l’arredo dell’Istituto “Jacopo Barozzi” di Modena. I premi e i riconoscimenti ottenuti ampliano il mercato della produzione di Bortolucci: opere di Tato vengono acquistate sia da Enti Pubblici che da privati. Con gli anni Sessanta critici e opinione pubblica iniziano ad accorgersi di Bortolucci: nel 1961 il critico d’arte Don Casimiro Bettelli dedica a Tato un breve saggio sulla rassegna frignanese e, sempre nel medesimo anno, Bortolucci inizia a frequentare assiduamente la Galleria d’Arte modenese “La Sfera”, allora diretta con sensibilità e intelligenza da Liliana Roncaglia. Proprio la Galleria “La Sfera” propone e allestisce la prima mostra personale di Tato Bortolucci nel 1964. La mostra, presentata da Renato Bertacchini, saggista e critico d’arte del Resto del Carlino che definisce l’arte di Bortolotti “pittura sofferta”, ottiene un buon successo di pubblico e di critica. Le opere esposte sono essenzialmente nature morte, pochi paesaggi e pochissime figure umane. La riflessione sulla figura umana per Tato evidentemente riguarda la sfera del privato: si tratta di studi intimi e solitari, spesso realizzati con tavolozze minime, sempre opache, realizzati fin dagli anni Quaranta e riscoperti solo dopo la morte dell’artista. Dai primi anni Sessanta le opere di Bortolotti sono conosciute anche fuori dal territorio nazionale, grazie a mostre collettive e itineranti: nel 1962 a Novi Sad, l’anno successivo a Riel-Sciaffusa in Svizzera, nel 1964 a Montpellier, a Salisburgo e Friburgo, nel 1966 a Sarajevo e nel 1967 a Dublino. A Modena partecipa intanto a due mostre collettive di artisti soprattutto modenesi: la prima, nel 1966, sempre presso la Galleria “La Sfera”, vede l’opera di Bortolotti affiancata a quella di Trevisi, Venturelli, Vanni, Spattini e Riva; la seconda nel 1980, presso la Galleria “Il Portone”, annovera la presenza di Bortolotti, Annovi, Bertoni, Brancalini, Ghidini, Pipino, Scapinelli, Soli, Testi e Klinger. Proprio verso i colleghi, ma anche verso il mondo culturale modenese, Bortolotti manifesta una certa insofferenza, palesata per lo più tramite schizzi e caricature ironiche e sagaci, realizzate su supporti di fortuna e ritrovate solo dopo la morte dell’artista. Pochi i colleghi amici: Spattini e Trevisi, soprattutto, e pochi altri. Emilio Bortolucci muore a Modena nel 1986 dopo la dolorosa perdita della madre e della compagna Armida. Nel 1990 la Galleria Comunale d’Arte Moderna di Pavullo allestisce nelle sale del Palazzo Ducale la prima retrospettiva postuma delle opere di Bortolucci; due anni dopo M. Fuoco e C.F. Teodoro pubblicano la prima monografia di approfondimento, curata da M. Cadalora. I media espressivi di Bortolotti sono sintetizzabili all’olio, steso sia su tela che su supporto rigido – con una predilezione per l’ultimo – e all’incisione calcografica – per lo più acquaforte e puntasecca. Visionando le opere di Tato in senso strettamente cronologico si possono notare con chiarezza cambi di registro espressivo ed emotivo. Dal segno sicuro e severo con analitica e puntigliosa resa di dettagli – da cui si evincono lo studio e la riflessione sull’opera di Elpidio Bertoli – si passa fin dai primissimi anni Quaranta a un segno più largo, morbido, sfumato, ma mai titubante. Anche la tavolozza muta: dai colori squillanti degli anni Trenta si passa a colori sordi, opachi e ambigui che esplicano il confronto positivo con l’amico Leo Masinelli, ma che in fondo altro non sono che la naturale espressione della poetica ovattata e intimista di Bortolucci.
Riferimenti bibliografici: Stefani in Piccinini-Rivi 2001, pp. 99-117, in partic. p. 114; Cadalora-Fuoco-Teodoro 1992; Teodoro 1991; Emilio Tato Bortolucci. Antologica postuma 1990; Veronesi 1968, pp.17-18; Bozzini 1968; Bertacchini 1964; Bettelli 1961; Notiziario d’arte 1950; Teodori 1949; Melli 1949; Teodori 1949; Totti 1949; I modenesi si affermano…, 3 maggio 1948; Fanfulli 1943; Zanasi 1942.
(Elisa Bellesia, 2010)