CAPUZZO MARIO

Badia Polesine (Rovigo), 1902 – Pontemaodino (Ferrara), 1978

Di origini polesane, Capuzzo venne a vivere a Ferrara con la madre sin da bambino: qui frequentò la civica scuola d’arte “Dosso Dossi”, assai benvoluto dal direttore, Ernesto Maldarelli. Ma la sua formazione artistica fu alquanto complessa: durante il servizio militare visse a Roma, dove decorò un ambiente della caserma Spaccamele, frequentando pittori quali Sartorio e Carlandi (che gli diedero qualche lezione) e una volta congedato, decise di trasferirsi a Milano, per perfezionarsi ai corsi liberi dell’Accademia di Brera.
Importante fu allora il rapporto con il pittore-docente Giuseppe Mentessi, il quale lo influenzò palesemente in alcuni dipinti di taglio sentimentale, ora presso la Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara, quali Sole mio e Inverno in Giovecca.
Rientrato a Ferrara, nel 1926 tenne una mostra personale nel Castello Estense, in cui espose molti bozzetti ambientali, di sapido gusto postimpressionista, i quali furono tutti venduti. Il successo fu replicato nel 1927 in una seconda personale presso il teatro “Nuovo” della città: pur nell’eclettismo delle opere presentate, la critica rilevò l’approfondimento nell’affrontare composizioni con figure. Fu questo l’inizio di un’attività che si protrasse per oltre mezzo secolo, all’insegna di un talento innato (e un po’ dispersivo) e nel poliedrico voler sperimentare le tecniche più varie: Capuzzo fu valente incisore, restauratore di dipinti antichi, cartellonista e illustratore, con tangenze persino con l’Art Dèco, ma soprattutto frescante. Assai significative, in tal senso, restano le decorazioni eseguite tra gli anni Trenta e Quaranta, per il Palazzo Arlotti (ora della Confindustria Emilia) e della sede principale della Cassa di Risparmio (oggi Palazzo Koch): dalle partiture manieriste e neo-barocche del primo, Capuzzo passò ad un lessico maggiormente ossequiente ai dettami novecentisti, soprattutto nell’esaltazione dell’operato di Italo Balbo in Libia. Una più tragica icasticità hanno le quattro tempere raffiguranti le vittime dell’eccidio del novembre 1943, compiuto sul muretto del Castello Estense (Ferrara, MEIS): fra questi era il senatore Emilio Arlotti, suo protettore per anni, per lui una sorta di figura paterna.
Trasferitosi in Istria assieme alla giovane moglie Maria Luisa Frignani, anch’ella pittrice, Capuzzo fu poi costretto ad abbandonare la casa di Portorose, a causa dell’invasione dei partigiani titini: importante in quel lungo soggiorno fu il rapporto con il pittore russo Alessio Issupof, il quale viveva a Trieste e che assai lo influenzò, in virtù della sua spumeggiante “maniera”, condotta in termini quasi spregiudicati.
Chiamato a decorare la chiesa del Rosario a Comacchio, in occasione dell’Anno Santo 1950, Capuzzo si invaghì allora dell’ambiente del Delta e del Basso Ferrarese e giungerà ad una singolare risoluzione: quella di vivere con la moglie in un barcone attraccato sul Po, più precisamente sulla Riviera Cavallotti di Codigoro, soprattutto allo scopo di riprendere il paesaggio fluviale da una inconsueta prospettiva, a filo d’acqua, nonché per appagare la propria sensibilità “zingaresca”. Appartiene a questo periodo il Vaso di fiori di proprietà di Assicoop e datato al 1959, lo stesso anno della decorazione dell’abside nella Parrocchiale di San Bartolomeo in Bosco. In un recipiente in ceramica decorata sono posti fiori campestri e, mentre in primo piano stanno due mele, sullo sfondo è un riquadro sinteticamente delineato, che pare più un dipinto in parete che una finestra. Capuzzo qui gioca con i rimandi agli amatissimi pittori impressionisti più che ai Macchiaioli e agli ottocentisti veneti (che pure amava): la pennellata vibrante e quasi sfatta può ricordare vagamente Monet e Renoir, il quadro-nel-quadro invece l’esempio del maestro ferrarese De Pisis, che il pittore conobbe direttamente e con il quale talora si ritrovò ad esporre. Nel contempo, il gesticolare nervoso e frenetico sulla tavolozza ricorda gli innumerevoli paesaggi campestri e vallivi da lui eseguiti in quegli anni: un esempio per tutti, Campagna (1952), presso l’Amministrazione Provinciale di Ferrara, per non parlare delle tante vedute dell’abbazia di Pomposa, Comacchio, Codigoro, Volano, Gorino.
Mario Capuzzo divenne un pittore sempre più commerciale, i suoi clienti si moltiplicarono in tutto il Nord Italia richiedendogli nature morte, paesaggi del Delta, della laguna veneziana, del Lago di Garda, scene sacre o copie, da Michelangelo come da Caravaggio e ritratti (persino il commendator Meneghini, marito di Maria Callas). Il suo mercato è costante, lo vorrebbero per adornare le proprie sale tutti i ristoranti (più che i musei), i rotocalchi nazionali come Stop o la Settimana Incom lo vengono ad intervistare sul barcone-atelier. Capuzzo è ormai diventato un personaggio.
La fama continua anche quando l’imbarcazione affonda a causa di un fortunale sul Po ed egli è costretto a costruirsi una casa con fondamenta a Pontemaodino, frazione codigorese sulla strada per Pomposa. Qui egli morirà a settantadue anni e l’edificio, con tutti i suoi arredi e i dipinti superstiti, è stato di recente donato dalla vedova Maria Luisa al Comune di Codigoro.

Riferimenti bibliografici: C. E. Bugatti, Mario Capuzzo, pittore del Delta, Ancona, 1966; C. Teodori, Mario Capuzzo, Verona, 1980; Mario Capuzzo 1902-1978, a cura di Angelo Andreotti, Ferrara, 1998; Mario Capuzzo. Una retrospettiva, a cura di Lucio Scardino, Ferrara, 2002; Trent’anni di Capuzzo, a cura di Gianni Cerioli, Ferrara, 2009; Mario Capuzzo (1902-1978). La costa grigia. Dipinti comacchiesi e altri paesaggi, a cura di Lucio Scardino, Ferrara, 2010.

Lucio Scardino (2021)