ENZO NENCI

Mirandola 1903 – Virgilio 1972

 

Nato da Giuseppe, musicista di origine toscana e direttore della banda municipale di Mirandola, seguì il padre ancora bambino a Ferrara, allorché egli venne designato a dirigere la banda della città: e a Ferrara vivrà fino alla Seconda guerra mondiale, trasferendosi quindi in Lombardia. Seguendo le direttive paterne, si diploma in setticlavio, partecipando come violoncellista ad alcuni concerti, ma la forte passione per la modellazione della creta lo prende in modo sempre più acceso e convince i genitori a fargli frequentare come allievo privato un paio di studi di scultori.

Apprende così i segreti della tecnica plastica studiando a Firenze nell’atelier di Ezio Ceccarelli, ma anche in quello di Arnaldo Zocchi, cugino della madre: si tratta di due valenti scultori accademici, alieni sia dalle stilizzazioni liberty che dalle suggestioni delle avanguardie, dal mestiere comunque impeccabile nel lavorare il marmo o nel patinare bronzi e terrecotte. Alla fine del 1924 Nenci apre così il primo studio di scultura, attività che lo vedrà impegnato per circa mezzo secolo: esordirà nel 1925 in una collettiva regionale allestita presso il Castello Estense di Ferrara.

Le sue prime opere risentono del “ritorno all’ordine” propugnato dal Novecento, nell’esercizio del ritratto ideale (quello alla quattrocentesca Parisina), nei soggetti sacri e danteschi o in quelli di taglio simbolista. Il giovane Nenci subisce altresì l’influsso del grande statuario milanese Adolfo Wildt. E’questo il caso di due sculture conservate presso la Galleria Civica d’Arte Moderna di Copparo: il marmoreo e vibrante Lamento del cieco (già appartenuto alla celebre collezione Mattozzi) e una Pietà, alla quale si ricollega direttamente la scultura ora nella Raccolta Assicoop Modena&Ferrara.

L’opera della Galleria Civica è un gesso patinato, datato 1927 nel catalogo delle opere di Nenci presentato da Giorgio Di Genova, che presenta le figure intere della Madonna e del figlio morto, mentre la terracotta della Raccolta Assicoop raffigura soltanto il busto della madre dietro quello del figlio, idealmente intento a sorreggerlo: si tratta, quindi,  di una prima idea dell’opera nel museo di Copparo, come conferma il curioso copricapo della Madonna, letteralmente identico in entrambe le sculture, i lineamenti dei modelli, la delicata modellazione del  pur diverso materiale. Nel caso della scultura ora all’Assicoop – sorta di frammento dell’altra, come usava fare un altro scultore ferrarese del tempo, il sodale Arrigo Minerbi – è accentuato il sapore drammatico della figura del Cristo, per volersi avvicinare maggiormente all’espressionismo “wildtiano” e a un piccolo busto cristologico collocato da Nenci su una cappella del cimitero della Certosa di Ferrara. Pur non firmato, il gruppo fittile è sicuramente opera autografa di Nenci, una “prima idea” sul tema, come conferma la nuora dello scultore, Teresa Noto Nenci, la quale ci segnala un’altra versione della Pietà di Copparo, un bronzo in suo possesso con lievi, ulteriori varianti nella postura dei piedi e nel basamento, mentre una copia in marmo, appartenente ad una collezione di Adria, presenta misure leggermente diverse rispetto alle altre di Nenci. Nell’insistere su questo particolare tema iconografico negli anni Venti lo scultore mirandolese (ma ferrarese di elezione) si colloca perfettamente nella temperie dell’epoca, collegandosi alle Pietà modellate in quel periodo dal modenese Ermenegildo Luppi (per i cimiteri di Brescia e di Francavilla al Mare) o dal polesano Virgilio Milani (una composizione marmorea nel cimitero di Rovigo), ma soprattutto ad un celebre esempio fiorentino. Nel 1924 era stato infatti bandito il concorso per un “monumento alla madre italiana”, da collocare nella basilica di S. Croce, in una cappella votiva in memoria dei caduti della grande guerra: lo vinse Libero Andreotti proponendo per l’appunto una perfetta Pietà, non necessariamente neo-michelangiolesca e sconfiggendo l’agguerrito Romano Romanelli. Una rielaborazione in chiave laica di questi temi Enzo Nenci svolgerà quindi nella bronzea e icastica Mater dolorosa, della quale si conservano esemplari sia nella Galleria Comunale d’Arte Modera e Contemporanea di Ferrara che presso il “Museo del Novecento” a Milano: il modello in gesso della dolente composizione è invece presso la Galleria Comunale d’Arte Moderna di Latina. Negli anni Trenta Nenci abbandonò le suggestioni “alla Wildt” per esercitarsi sul tema della figura, risolta con geometrizzazioni dèco e talora  un po’ “littorie”: si pensi al grande angelo collocato sulla tomba dell’ex ministro Rossoni nel cimitero di Tresigallo, al monumento in onore dell’aviatore Bombonati, posto nel ferrarese borgo di San Giorgio, al Monumento ai Caduti di Cona, alla grandiosa fontana con bassorilievi dinanzi al Municipio di Copparo: forse il suo capolavoro in tal senso resta il bellissimo monumento all’aviatore Ivo Oliveti, destinato all’omonimo villaggio della Libia ma oggi conservato presso l’Istituto d’arte “Palma” a Massa, in Toscana, assieme ad un pregnante monumento a Baracca, ugualmente in marmo. In quel periodo Nenci continuò ad esporre (1932, 1933, 1934, 1935, 1937, 1939), spesso nelle collettive presso il Castello Estense, ritrovandosi a fianco dei migliori artisti ferraresi ed emiliani del tempo, ebbe studio nel cinquecentesco palazzo Mazzucchi di piazza Ariostea, insegnò per un breve periodo nelle scuole professionali di Ferrara. Trasferitosi definitivamente a Mantova, lo scultore mirandolese rimase intimamente legato a talune suggestioni del periodo ferrarese, come stanno a dimostrare alcuni significativi episodi: la fittile scultura Ultimi momenti di lotta venne acquistata dal professor Mantovani nel 1952 appena eseguita, anche se tutti gli studiosi l’hanno datata agli anni Trenta; il Cristo morente in terracotta, posta nel 1954 sulla tomba della Principessa di Montenevoso al Vittoriale sembra in effetti ancora assimilabile ad opere come le tante Pietà; la marmorea  Testa di donna dagli occhi chiusi del 1955 (Ferrara, Galleria Civica d’Arte Contemporanea) risulta un intelligente omaggio-rilettura alle sculture del rinascimentale Laurana; il ritratto ideale di Isabella d’Este  del 1962-63 è vicino a quello giovanile di Parisina Malatesta. Nell’estremo periodo mantovano Nenci riuscì però nella serie delle stalagmiti-stalattiti e dei cosiddetti “orientali” a liberarsi di orpelli decorativi, di una figuratività forzata, per raggiungere esiti neo-avanguardistici, rivelando una forza espressiva di rara intensità, quasi informale, che lo hanno fatto giustamente considerare fra i migliori esponenti della scultura in terra gonzaghesca negli anni Sessanta-Settanta.

 

 

Riferimenti bibliografici: Giorgio Di Genova, Enzo Nenci 1903-1972. Quaderno delle opere, Mantova, 2012.

 

Lucio Scardino (2023)