FUNI ACHILLE

Ferrara, 1890 – Appiano Gentile, 1972

Virgilio Socrate Funi nasce a Ferrara il 26 febbraio 1890; il soprannome Achille deriva probabilmente dalla sua grande passione per la letteratura classica. Dopo avere iniziato gli studi presso l’Istituto d’Arte ferrarese, nel 1906 si trasferisce con la famiglia a Milano e si iscrive all’Accademia di Brera, dove stringe una salda amicizia con il conterraneo Bonzagni; tra i compagni di corso anche Carrà, Sant’Elia, Chiattone, Erba, Bucci. Nel 1913 entra in contatto con il gruppo “Nuove Tendenze”, nel quale si mescolano orientamenti futuristi, astrattisti e simbolisti, ma se ne allontana l’anno successivo a causa di contrasti con Dudreville.
Il Futurismo viene rielaborato da Funi in maniera personale, in senso fortemente plastico e poco decostruttivo, con un interesse per la volumetria che sempre prevale sullo studio del movimento. Nel 1915 parte volontario per il fronte insieme a Marinetti, Boccioni, Erba, Sironi, Bucci e Sant’Elia: in questo periodo esegue circa cinquecento disegni dei compagni e della vita militare, quasi tutti andati persi; intanto la sua amicizia con Boccioni si fa sempre più stretta e in entrambi si intensifica la meditazione su Cézanne, sulla sintesi e sulla geometria delle forme. Nel 1920 firma, insieme a Russolo, Sironi e Dudreville, Contro tutti i ritorni in pittura. Manifesto futurista, dove viene esaltato proprio il concetto di sintesi; lo stesso anno soggiorna per qualche mese sul lago di Como con Arturo Martini, ospite dell’industriale Pietro Preda, e al suo ritorno a Milano tiene la prima personale alla Galleria Arte, presentata da Margherita Sarfatti. In questa fase i suoi dipinti si dirigono verso una ricerca di forme solidamente costruttive, rievocanti la tradizione rinascimentale; l’atmosfera nordica di alcune sue opere lo avvicina inoltre alla Nuova Oggettività tedesca. Nel 1922 partecipa alla Biennale di Venezia – cui sarà presente in svariate edizioni successive – con La Terra e Maternità, due opere fondamentali nel suo percorso pittorico, esempi di quel richiamo alla classicità teorizzato dai novecentisti: i riferimenti sono Tiziano, Bronzino, Leonardo, quest’ultimo particolarmente amato da Funi; gli sfondi, con la finestra aperta sul paesaggio, richiamano quelli dei ritratti rinascimentali. Il 7 dicembre di quell’anno, Funi è uno dei fondatori del gruppo di “Novecento”, facente capo alla Galleria Pesaro di Milano. La sua pittura è caratterizzata da forte plasticismo e solidità coniugati a colori compatti e definiti, e la figura umana, colta in atteggiamenti pensosi e introspettivi, avvolta da un’aura quasi sacrale, risulta protagonista incontrastata delle sue opere. Nel 1926 partecipa alla Prima mostra del Novecento italiano, cui seguono altre esposizioni in Italia e all’estero; è probabilmente da ricondurre al 1928 una visita a Napoli e Pompei dove prende visione diretta della pittura pompeiana e della statuaria antica: il contatto con il mondo classico segna una svolta nella produzione dell’artista, che ai personaggi domestici e familiari predilige ora divinità o figure storiche e mitologiche; contemporaneamente affiora un interesse per il paesaggio, mentre la pennellata perde rigidità e si fa più sciolta. Nel 1930 partecipa, tra le altre esposizioni, alla IV Triennale d’arte decorativa alla Villa Reale di Monza, realizzando la decorazione del vestibolo con figure dell’Eneide, e alla mostra del Novecento Italiano a Buenos Aires; nel 1931 è alla I Quadriennale d’Arte romana con nove opere, che suscitano critiche contrastanti. Continuano numerose le esposizioni nazionali e internazionali, tra cui la mostra 22 Artistes italiens modernes a Parigi nel 1932; lo stesso anno progetta e allestisce due sale alla Mostra della Rivoluzione Fascista.
Pur non abbandonando mai la pittura da cavalletto, negli anni Trenta avvia un’intensa attività di affrescatore, affermandosi, accanto a Sironi, come il pittore murale italiano più significativo del periodo: nel 1933 termina gli affreschi della chiesa di San Giorgio al Palazzo a Milano e lavora a quelli per la Chiesa di Cristo Re a Roma; a fine anno firma il Manifesto della pittura murale di Sironi insieme a Carrà e Campigli. Risale a tale periodo anche la polemica con Farinacci sulle colonne dei giornali: attraverso «Regime Fascista», “Novecento” viene accusato di esterofilia e a poco vale la difesa di Funi che sottolinea il legame del gruppo con la tradizione classica italiana. Nel 1938 porta a compimento uno dei suoi capolavori, la decorazione della Sala della Consulta del Palazzo Comunale di Ferrara, un ciclo che raffigura episodi storici, mitologici, letterari e religiosi legati alla città emiliana, mentre l’anno successivo lavora agli affreschi per il Palazzo di Giustizia di Milano. Nel 1940 ottiene una cattedra di scenografia a Brera, dove impartisce l’insegnamento dell’affresco inteso come ritorno al mestiere e alla tecnica, e continua successivamente ad eseguire pitture murali per edifici pubblici e privati di varie città italiane. Ricopre la carica di direttore dell’Accademia di Brera nel 1944 e ancora dal ‘57 al ’60, e quella di insegnante di disegno e tecnica dell’affresco all’Accademia Carrara di Bergamo e poi nuovamente presso quella di Brera. Negli ultimi anni si dedica maggiormente al tema del paesaggio e, pur conducendo una vita appartata, continua a mantenere i contatti con artisti ed allievi. Muore il 26 luglio 1972 ad Appiano Gentile.

Riferimenti bibliografici: Dogana (scheda) in Pirovano 1992, p. 98; Colombo 1996; Pontiggia-Colombo 2001 (con bibliografia precedente).

(Francesca Fontana, 2016)