(Ferrara 1849 – Roma 1892)
Nella Raccolta Assicoop si conserva l’unica scultura oggi conosciuta di Giulia Davia, rarissima artista, più nota come figlia di Gaetano Davia (Ferrara 1810-1891), scultore, restauratore, decoratore e membro della commissione comunale di belle arti, importante esponente di quel gusto “neo-estense”, alquanto diffuso a Ferrara nel corso del XIX secolo. Gaetano, la cui opera più famosa resta il rifacimento dei marmi della facciata del Palazzo Prosperi-Sacrati, posto nel Quadrivio dei Diamanti, evidentemente voleva instradare la figlia nella medesima carriera, dopo averle fornito egli stesso i primi rudimenti nel modellare e come la scultura ora nella Raccolta Assicoop Modena&Ferrara sembrerebbe confermare: Giulia si perfezionò difatti, assieme al fratello Emanuele, presso la civica scuola di ornato a Ferrara, dove fu allieva di Angelo Conti ed ebbe l’onore di essere l’unica donna allora ammessa.
Al periodo immediatamente successivo agli studi presso la comunale scuola d’arte, poi denominata “Dosso Dossi”, risale questo busto, raffigurante un ignoto in abiti cinquecenteschi, che verrebbe voglia di identificare in Ludovico Ariosto nei suoi anni estremi, con quell’aria già malata che lo condurrà alla tomba nel 1533 e che peraltro il padre aveva raffigurato nelle due serie di uomini illustri, eseguite a metà secolo per la facciata del Palazzo di San Crispino e all’interno del Teatro “Comunale” di Ferrara.
E’ però da evidenziare che il 1872 corrisponde all’anno di onoranze tributate al pittore rinascimentale Benvenuto Tisi da Garofalo; ad esempio, con l’allestimento di una mostra documentaria presso la casa natale, a Garofalo di Canaro, e con una rassegna di artisti contemporanei allestita presso il Palazzo dei Diamanti a Ferrara dalla Società Promotrice che da lui prendeva il nome.
In quella occasione venne eseguito da Camillo Torreggiani un busto (oggi presso la Pinacoteca Nazionale di Ferrara), che però rappresenta il pittore estense con folta capigliatura ma glabro e rivestito da un basco “alla Raffaello”: a questa iconografia consolidata sembrerebbe opporsi il ritratto della Davia, che presenta un uomo barbuto e dolente, elegantemente rivestito con camicia a gorgiera e giacca marrone e mantello scuro, la cui espressione meditabonda farebbe più pensare in effetti a un letterato. Ariosto in primis, ma anche Torquato Tasso, con un’aria meno spiritata del solito.
Sia come sia, il busto neo-estense della Davia, un tempo conservato in una villa di Cavezzo di Modena, da un lato può evocare la tradizione di alcuni ritratti in cotto policromo del grande Guido Mazzoni e al tempo stesso precede i busti fittili e policromi di Cleonte Chinarelli, scultore ferrarese nato nel 1862 e che sembrerebbe volerla imitare.
Dopo aver firmato questa problematica ma affascinante scultura Giulia Davia partecipò nel 1877 alla nuova mostra promossa dalla Società “Benvenuto Tisi” al Palazzo dei Diamanti, incentrata su un omaggio a Leopoldo Cicognara: in quella occasione la scultrice presentò una “Sibilla” (busto in terracotta) e uno “studio dal vero” in gesso, venendo premiata con un diploma di secondo grado.
La Davia aveva però evidentemente iniziato a trascurare la scultura per motivi familiari, come spesso capita di dovere fare alle donne-artiste: nel gennaio 1874 si era infatti sposata con Vincenzo Certo e con lui si era trasferita a Roma. Poco tempo dopo alla coppia nacque il figlio Carlo, che si dedicherà all’attività di compositore in musica, riscuotendo un discreto successo con le sue serenate romanesche.
Non conosciamo mostre della Davia nel periodo romano: sappiamo soltanto che si ammalò di una grave malattia, morendo poco più che cinquantenne, seguendo di un anno in questa tragica sorte l’amatissimo padre scultore.
Il fratello Emanuele, anche lui seguace inizialmente dell’arte plastica, evidentemente instradato pur’egli dal genitore, si era poi dedicato all’attività di studioso e bibliofilo, venendo assunto dalla Biblioteca Comunale Ariostea di Ferrara con la qualifica di vice-bibliotecario, quale spalla del famoso Giuseppe Agnelli.
Emanuele lasciò alla Biblioteca Ariostea un corposo album di disegni del padre, che comprende altresì ritratti a lui e alla sorella Giulia.
Riferimenti bibliografici: Fioravanti Baraldi – Mellone 1990, p. 46; Testoni 2006.
Lucio Scardino (2023)