Mesola, Ferrara, 1854 – Venezia 1936
Cesare Laurenti fu un artista poliedrico, assai importante nella storia delle arti applicate in Italia fra Otto e Novecento. Ondeggiante fra pittura da cavalletto, decorazione murale, scultura, illustrazione, architettura, incisione, ceramica monumentale, restauro, sperimentazione tecnica e commercio antiquariale.
Laurenti nacque a metà Ottocento in un paese del Basso Ferrarese, ma si trasferì in giovane età nel capoluogo, al seguito del padre Agostino, giornalaio. Iscritto alla Civica scuola d’arte di Ferrara (l’odierno Liceo artistico “Dosso Dossi”), nel 1873 Cesare Laurenti risultava “fabbricatore di carte da gioco in Ferrara”. La città emiliana stava però evidentemente stretta a Laurenti, che iniziò un variegato percorso di studi in varie capitali culturali: fu così iscritto alle Accademie di Belle Arti di Firenze e di Venezia, mentre in quella di Napoli fu allievo del grande Domenico Morelli, notevole esponente, nel contempo, d’un icastico naturalismo e di un “realismo visionario”.
Al gusto morelliano sembrerebbe avvicinarsi la scena rurale di Assicoop, con il gregge che si staglia nell’ampio paesaggio, presentando altresì tangenze con un altro allievo di Morelli, l’abruzzese e “dannunziano” Francesco Paolo Michetti, specie nel gruppo dei pastori e nel cielo serale, trasfigurato poeticamente, con un’aura quasi simbolista: vi trapela inoltre qualche eco del naturalismo di Filippo Palizzi, secondo docente partenopeo di Laurenti.
L’altro suo paesaggio nella raccolta d’arte di Assicoop risulta di qualità inferiore e di un taglio più gradevole in senso commerciale, ma è comunque in linea con il vibrante paesaggismo atmosferico di vari maestri lagunari quali Milesi e Fragiacomo, con il quale Laurenti spesso si trovò ad esporre. Al termine dell’errabonda giovinezza l’artista mesolano aveva infatti stabilito di trasferirsi stabilmente a Venezia, divenendo uno dei promotori della Biennale di Venezia e avviando uno studio privato, frequentato da valentissimi allievi. Rispetto però agli altri pittori veneziani (ma anche alle “scene di genere” di Favretto, Lancerotto e sodali, a cui pure inizialmente aderì anche egli), Laurenti era maggiormente attratto da un simbolismo di gusto neo-rinascimentale, impegnato in un tentativo di aggiornare la lezione dei Preraffaelliti. Nel contempo l’artista portava avanti una fervida ricerca di carattere tecnico che gli permetteva di sperimentare una nuova tempera forte (che voleva realizzare industrialmente a Rovigo), come si evidenzia altresì in numerose ricette di colori e mestiche e in un breve trattato di anatomia artistica, conservato presso la Biblioteca Comunale Ariostea di Ferrara.
Cesare fu attratto inoltre dalla tecnica a carattere ceramico, come è emblematicamente evidenziato dall’enorme fregio “Le statue d’oro”; una decorazione di circa cinquanta metri di sviluppo, realizzata per la Sala del Ritratto alla Biennale di Venezia del 1903 (e quindi collocato nel Castello Estense di Mesola), dove la sequenza sceltissima di ritratti “italici” che vanno dal XIV al XVIII secolo è reinventata da Laurenti mediante un raffinato ductus grafico di impianto “floreale” (e non più preraffaellita), inciso nelle piastrelle ceramiche realizzate a Treviso dalla ditta Gregorj sotto la sua diretta supervisione. In quel periodo Laurenti dimostrò uno spiccato interesse per l’architettura: suo capolavoro in tal senso resta la nuova Pescheria di Rialto, progettata assieme al friulano Domenico Rupolo, in cui gli elementi plastici da lui modellati ridisegnano un importante spazio veneziano. Ispirazioni neogotiche convivono in questo caso con una trasfigurazione stilizzata degli elementi ittico-marini.
Più aderente al gusto Liberty, ma con ricordi desunti dalle decorazioni leonardesche, fu la fastosa decorazione del ristorante “Storione” a Padova: pur considerata da molti il capolavoro dello Jugendstil in area veneta, la decorazione fu semidistrutta e malamente staccata oltre mezzo secolo fa, quando venne abbattuto l’edificio che l’ospitava: permangono frammenti della decorazione a tempera e disegni progettuali dell’opera presso i Musei Civici di Padova, che solo in parte riescono però a rendere il senso di raffinata grandeur della monumentale opera del ferrarese, che progettò per l’ambiente patavino anche gli stucchi, i ferri battuti e le boiseries.
Mentre la sua pittura procedeva attraverso i meandri di un simbolismo intessuto talora di un capzioso quanto affascinante senso letterario, palese sin dai titoli (Le Parche, Frons Animi Interpres, Il Peccato, Coscienza e Parabola, Fioritura nova, Armonie verdi, Preludio, Primi dubbi, Via aspra, La Verità), per alcuni grandi quadri presentati a mostre internazionali e quindi approdati in prestigiosi musei di Trieste, Venezia, Roma, Milano, la sua inesausta curiosità progettuale lo stimolava a confrontarsi nuovamente con l’architettura. Del 1911 (anno in cui usciva sugli schermi L’Inferno, primo lungometraggio italiano, ovviamente ispirato alla “Divina Commedia”) è difatti l’ambizioso Monumento a Dante Alighieri, destinato a Roma e rimasto irrealizzato. In seguito il mesolano progettò un ponte translagunare per la città di Venezia, pure esso restato allo stato di progetto. Amareggiato dai vari insuccessi, Laurenti si dedicò dopo la prima guerra mondiale al commercio dei quadri antichi, nonché al loro restauro, pur continuando a dipingere: Eterno Enigma, torbido dipinto conservato presso la Galleria Civica d’Arte Moderna di Ferrara, è fra le sue ultime opere, intriso ancora una volta di un gusto simbolista, ma ormai obsoleto, se confrontato con le coeve stilizzazioni novecentiste.
Pittore talora messo in rapporto dai critici con il conterraneo Giuseppe Mentessi, il poliedrico artista di Mesola scarsamente condivideva con quest’ultimo l’impegno sociale, risultando piuttosto in linea con il raffinato dannunzianesimo di artefici forbiti quali De Carolis e Sartorio o – per restare nell’ambito veneziano – di Fortuny junior, De Maria e dell’allievo Cadorin.
Riferimenti bibliografici: Morasso 1903; Caramel 1985; Laurenti 1990; Torresi 1991; Scardino 2003; Beltrami Carraro 2010.
(Lucio Scardino, 2018)