Carpi (Modena), 1911 – Firenze, 1961
Nasce a Modena il 21 ottobre 1877. Si forma all’interno del R. Istituto di Belle Arti fra il 1896 e il 1901, sotto la direzione dello scultore Giuseppe Gibellini. Durante l’ultimo anno di corso partecipa al concorso Poletti per la scultura, ottenendo il primo premio e la possibilità di soggiornare nei quattro anni successivi prima a Roma, poi a Firenze. Proprio a Roma si svolgerà la carriera artistica di Luppi, scultore poco apprezzato nella città natale, attestata su un gusto conservatore che trovava riflesso nei modelli della scultura italiana rinascimentale dispiegati abilmente da Giuseppe Graziosi. I primi anni della carriera di Luppi vedono il ricorso a modelli espressivi differenziati, dovuto alla necessità di adattare la ricerca a temi e occasioni di committenza, di volta in volta diverse: se a Firenze, nel 1906-07, il Quattrocento toscano, in particolare Donatello, assicura all’artista l’apprezzamento del colto turismo internazionale cui rivolge imitazioni dell’antico, la partecipazione a occasioni di celebrazione ufficiale nella capitale del Regno trova nell’eclettismo fin-de-siécle il necessario registro di stile: nascono così le partiture decorative dell’Istituto internazionale dell’agricoltura a villa Borghese nel 1908, dove egli lavora insieme ai concittadini Alberto Artioli e Giuseppe Mazzoni, e soprattutto Il corteo della Bellezza e della Forza per la facciata del palazzo delle Belle Arti a Valle Giulia, costruito da Cesare Bazzani in occasione dell’Esposizione internazionale del 1911. Le personali inclinazioni di Luppi in questi anni si colgono forse meglio in numerosi lavori minori, presentati alle varie esposizioni ufficiali: Operaio che spinge la carriola nel 1904 per il Concorso nazionale, Bimba malata nel 1913 a Genova, Visioni del passato, premiata alla Secessione romana dello stesso anno, mostrano una personale rielaborazione di quel linguaggio verista d’intonazione sociale ampiamente in voga già dalla fine dell’Ottocento. Accanto a questo non mancano poi scene di genere, che trovavano fertile mercato nel pubblico borghese: Senza sole del 1914, acquistato per la Galleria nazionale d’arte moderna di Roma, o Idolo di nonna e Riconciliazione. Dopo la parentesi del primo conflitto mondiale, accanto a numerose committenze pubbliche, destinate alla sublimazione degli orrori della guerra in un contesto di propaganda ufficiale, si pongono alcune delle più interessanti realizzazioni dell’artista, sempre più orientato a un linguaggio originale fatto di sintesi formale e di forzature espressioniste. Modello di riferimento per Luppi in questi anni è certamente l’opera di Adolfo Wildt, ma anche esperienze oggi meno note come quelle del croato Ivan Mestrovic, all’insegna di un superamento, seppur temperato, degli aspetti analitici della scultura in favore di una maggior sintesi plastica. Il terzo decennio si apre con l’intervento nella cappella del Cimitero modenese di San Cataldo, del 1920, dove i caratteri arcaizzanti, pre-classici, della Giustizia, se pur ancora fortemente debitori della una visione analitica, segnano la distanza con gli altri artisti locali coinvolti. Assai utili per capire la direzione della ricerca di Luppi in questi anni, appaiono le numerose realizzazioni sul tema della Pietà, eseguite, tra opere finite e bozzetti, dal 1921 al 1930. Una prima versione fu prodotta per la tomba della famiglia Pomilio nel cimitero di Francavilla al Mare dove, per la prima volta, la componente realista dello stile di Luppi pare volgere a inclinazioni tragiche. L’originale composizione della madre che, da dietro, regge il corpo morto del Cristo, pesante e abbandonato, fa evidente riferimento all’omonimo lavoro di Michelangelo, allora in palazzo Rondanini a Roma. L’opera, premiata alla I Biennale romana, fu poi ripresa due anni più tardi per il Cimitero Vantiniano di Brescia. In questo caso la realizzazione mostra una composizione ben più calibrata: l’inserimento delle pie donne permette allo scultore di donare al gruppo un maggior movimento che interrompe, con masse compatte e circolari, la rigida composizione a “L” dell’elaborazione precedente. Se queste, con un gioco di curve e controcurve, sono state ricondotte ai modi di Leonardo Bistolfi, è a Wildt e alla tradizione germanica che bisogna guardare per la resa dolorosamente espressionista, quasi scarnificata, delle lunghe membra del Cristo. Un ulteriore svolgimento del tema trovò poi corpo nel gruppo marmoreo eseguito nel 1930 per Temistocle Fossati, oggi a Dublino. L’inserimento della figura di Giuseppe d’Arimatea accentua una costruzione pensata per masse, disposte a triangolo rettangolo all’interno di un ipotetico volume parallelepipedo, cui fanno da contrappeso la levigatezza delle superfici e la resa analiticamente realistica del volto del santo, chiaro omaggio al committente dell’opera. A metà tra queste due ultime versioni monumentali si colloca il piccolo gruppo in terracotta della collezione Assicoop Modena&Ferrara, forse uno studio da presentare a Fossati. Databile all’incirca al 1925, quest’opera rispecchia, da un punto di vista compositivo generale, il prototipo bresciano e parte sicuramente dal medesimo bozzetto del 1922 ma, rispetto ad essi, presenta già l’inserimento della figura maschile che compare nella versione marmorea e tributa una maggiore attenzione a effetti naturalistici e grafici. Qui si evincono maggiormente i riferimenti alla Germania rinascimentale, così come agli esiti espressionistici del più drammatico Donatello, artista prediletto da Luppi sin dalla sua formazione. Nell’altro bozzetto, realizzato questa volta in bronzo, e conservato sempre in collezione Assicoop Modena&Ferrara, sono gli aspetti più espressionistici della composizione che vengono esaltati da Luppi, soprattutto se confrontato con le forme levigate della versione di Dublino o quelle più descrittive della terracotta. Questa appare quindi come la redazione più libera delle tre, forse per via della sua destinazione privata, svincolata dal necessario compromesso con l’accademia a cui ogni artista ufficiale era costretto a piegarsi. Basti, a riprova, il confronto con il coevo monumento ai caduti della prima guerra mondiale di Modena, commissionato a Luppi, a seguito di pubblico concorso, nel 1923, ma portato a compimento soltanto tra il 1927 e il 1928. Proprio in questa occasione, ragioni di ordine propagandistico spiegano come l’artista attenui l’effetto astrattivo delle masse, così evidente nel piccolo bronzo Assicoop, in favore di una resa del dettaglio teso ad assicurare una piana leggibilità narrativa.
Numerosi sono in questi anni i riconoscimenti tributati al lavoro di Ermenegildo Luppi, che assume diversi incarichi di docenza a Modena e a Roma, ed è chiamato a svariate occasioni di committenza pubblica, ultima delle quali sono una Deposizione e un bassorilievo bronzeo, destinati alla cappella ossario del cimitero di Foggia, e due bassorilievi inneggianti a Mussolini per il palazzo del Podestà, inaugurato nel 1934 nella medesima città. Ermenegildo Luppi morirà a Roma il 19 ottobre 1937.
Riferimenti bibliografici: Luppi, Emenegildo 1934; Rivi 2003; Franco 2006; Bellesia 2011; Piccioni s.d.
Tomas Fiorini (2019)