Modena, 1911 – 1988
Vittorio Magelli nasce a Modena il 20 febbraio 1911. La sua formazione artistica avviene all’interno dell’Istituto d’Arte cittadino, intitolato ad Adolfo Venturi: dapprima frequenta la Scuola libera del nudo, per poi completare regolarmente gli studi nel 1928. L’insegnamento che lascia maggiori tracce nei primi lavori di Vittorio Magelli è quello di decorazione pittorica tenuto da Arcangelo Salvarani. Proprio al maestro carpigiano rimandano la tecnica e la paletta del Ritratto del padre (Modena, collezione privata), eseguito nel 1926, e i saggi per il concorso Poletti di Pittura, che Magelli vince nel 1929. Nel saggio principale, Farinata degli Uberti (Modena, Museo Civico d’Arte), l’effetto di contrasto luministico risente di una tradizione consolidata che affonda le radici nelle incisioni di Gustave Doré e che trova negli acquerelli di Amos Nattini il più immediato referente; nello stesso tempo appare affine alle scelte intraprese in quel torno d’anni da Salvarani nelle grandi decorazioni teatrali, (quali le tele per il Teatro Sociale di Novi di Modena e il clipeo del Teatro del Collegio San Carlo a Modena, quest’ultimo eseguito con l’ampia partecipazione di allievi). Il piccolo ex tempore realizzato per il medesimo concorso, intitolato Tramonto in valle (Modena, Museo Civico d’Arte), mostra come Magelli debba agli anni di formazione presso Salvarani non soltanto un dato di tipo formale, ma anche l’inclusione in un più ampio orizzonte culturale, che mescola le ultime esperienze simboliste, ancora presenti nel panorama cittadino degli anni venti, con le forme solide del “ritorno all’ordine”. Nelle due opere del concorso le luci atmosferiche di sapore ancora simbolista si accompagnano a una nettezza di segno e a una semplificazione del dato formale che saranno invece ripresi e sviluppati nel successivo periodo romano e che Magelli continuerà a riproporre durante tutta la propria carriera. Il segno duro, capace di grande risalto plastico, testimonia l’attenzione del giovane artista per il medium della scultura, cui dedicherà in seguito ampio spazio. Il successivo trasferimento di Magelli a Roma permette all’artista di entrare in contatto con una realtà culturale assai più variegata e di sviluppare in senso nuovo i dati formali di partenza, volti ben presto a una rilettura lirica e intima della realtà. La conoscenza diretta del linguaggio antiretorico della Scuola romana lo porta a marcare una forte distanza dalla scultura di Graziosi, a queste date punto di riferimento imprescindibile sulla scena modenese, e con cui anche Magelli, nel 1932 tornato stabilmente a Modena, è costretto a fare i conti. Nella ripresa di temi e soggetti emerge tutta la distanza fra i due artisti: così nelle prime versioni di Adolescente, opera che decreta il successo dell’artista e che trova ampio consenso alla Quadriennale romana del 1931. Anche su questo giro d’anni ha scritto Francesca Petrucci, ricordando l’importanza e il fascino per l’artista della figura umana, occasione di un confronto stimolante nella ricerca di modernità di linguaggio: “così tra il 1931 e il 1932 datano i ritratti di Clodomiro Magelli, della signorina Magarotto, di Pina Piccaluga, del conte Umberto Pignatti, tutti in terracotta, che nelle fisionomie rapportati a moduli geometrici e nel disegno di orbite vuote e accecate, appaiono consapevoli delle meditazioni sui primitivi tre e quattrocenteschi avviate da Modigliani e da Ernesto De Fiori; alle sculture di Antonietta Raphael – e ‘per li rami’ di Maillol – rimandando i piani ampi e la massività di tipo romanico del ritratto di Giovanni Salotti, ancora del 1932; nel ritratto di Mirella Albanese del 1931, poi, la semplificazione delle superfici, la definizione grafica dei profili, sembrano allinearsi al primitivismo di Quirino Ruggeri, il sarto scultore teso a rendere la semplicità di osservazione diretta e profonda delle cose” (Petrucci in Pagella e Ponzoni 1996, p. 16).
È soprattutto il confronto fra la Fontana dei due fiumi del Graziosi, realizzata nel 1937, e la sua puntuale ripresa a opera di Magelli per il paese di Sestola, nel 1964, che permette di misurare la distanza tra i due artisti. L’impostazione generale delle due realizzazioni è certamente comune, ma Magelli consapevolmente tralascia tutti gli aspetti più caratteristici della scultura di Graziosi: non ne accoglie i richiami alla tradizione cinquecentesca, né intende riprodurne le proporzioni monumentali e celebrative, ma soprattutto sostituisce all’apertura spaziale della fontana modenese, dettata dal parallelo asse viario, una forma conchiusa e concentrata su se stessa. Alle figure possenti del Graziosi, che sembrano allontanarsi a grandi falcate dal centro della fontana, Magelli preferisce due minute figure di bambini, dalle forme acerbe e col capo reclinato in una mesta meditazione interiore. Anche la vasca concorre a sottolineare questo intimo ripiegamento racchiudendo all’interno del proprio perimetro le due incerte figurette, bloccate in un quieto equilibrio. La distanza cronologica delle due opere non rende meno significativo il confronto dal momento che Magelli, dopo una serie fortunata di esposizioni in giro per il mondo, nell’immediato dopoguerra circoscriverà la propria attività lavorativa alla città natale continuando a meditare incessantemente sui temi della prima giovinezza. A Modena esporrà nel 1950 presso la Saletta degli Amici dell’arte. Una seconda mostra sarà del 1961. Il Museo Civico gli dedicherà invece due iniziative, nel 1967 e nel 1996, mentre la Galleria Civica proporrà un’antologica nel 1981. Magelli realizza nel 1976 le porte bronzee per la chiesa della Madonna Pellegrina. L’artista morirà a Modena il 3 maggio 1988.
Riferimenti bibliografici: Pagella, Ponzoni 1996 (con bibliografia precedente); Piccinini, Rivi, Stefani 2011, pp. 28-35.
(Tomas Fiorini. 2013)