MELLI ROBERTO

Ferrara 1885 – Roma 1958

Nato in una famiglia di origine ebraica, dopo un breve apprendistato negli studi di Nicola Laurenti e Arrigo Minerbi, nel 1902 si stabilisce con la madre a Genova. Nel capoluogo ligure trova un vivace centro culturale che gli consente di approfondire la scultura, la scrittura e anche linguaggi sperimentali come quello cinematografico. Si dedica anche all’incisione durante la collaborazione a «Ebe», rivista d’arte che lo mette in contatto con le avanguardie artistiche e letterarie (Macerata 1992, p. 197). Dopo un confronto con la lezione dell’arcaismo e del simbolismo francese, si accosta all’opera di Medardo Rosso, cogliendone le potenzialità espressive, ossia la modellazione mossa e l’interazione fra la forma plastica e lo spazio circostante. 
Alla “I Esposizione Italiana di Xilografia” del 1912, organizzata dal comune di Levante (ivi, p. 199), Melli espone il gesso del Ritratto di Giulia De Riso (collezione privata), un’opera che testimonia le molteplici ispirazioni estetiche. Tradotta successivamente nel bronzo (Ferrara, Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea), l’effigie della futura attrice manifesta nei “forti contrasti di direzioni tra le posizioni verticali del mento e l’asse obliqua del volto” l’impellenza di superare “lo stilismo elegante che sfocerà nel liberty” (Apella in Macerata 1992, pp. 10, 13), a favore dell’essenzialità e della purezza (Martini 2004, p. 39).
Dopo l’attività di xilografo per «Ebe», nel 1913 si trasferisce a Roma ed espone alla “I Mostra della Secessione Romana”. Come rappresentante del Gruppo Moderno Italiano, Melli partecipa alla seconda esposizione di quella rassegna artistica, rivelando una vicinanza agli esiti formali del movimento futurista, in particolare al dinamismo plastico di Umberto Boccioni. Allo stesso anno appartengono opere esemplari di questo snodo artistico, ossia Mia moglie (il gesso è conservato nei depositi delle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara, mentre il bronzo si trova alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma), La signora con cappello nero (Zoe Lampronti), dalle forme sferiche, e il Ritratto di Vincenzo Costantini, costruito con volumi più serrati e squadrati (come sopra, i gessi sono nelle gallerie ferraresi e le versioni definitive, rispettivamente in bronzo e in peperino, conservate in quella romana). Sono sculture di ascendenza futurista, anche se l’artista ferrarese non aderirà in senso stretto a quella corrente. Zoe Lampronti e Vincenzo Costantini testimoniano, ad esempio, l’interesse soprattutto per il cubismo, “ma risalendo alle sue origini più lontane, alla ‘solidificazione dell’impressionismo’ di Cézanne” (Bucarelli in Ferrara 1958, p. 9). Le opere di Boccioni gli mostrarono d’altro canto la possibilità di formalizzare “l’interazione tra la figura, l’atmosfera e la luce attraverso un’architettura di volumi squadrati”, per arrivare al dinamismo “puramente plastico” (Vorrasi in Ferrara 2012-2013, p. 63) Nel 1916 è chiamato alle armi e durante l’obbligo militare conosce Giorgio de Chirico a Ferrara. L’anno successivo, rientrato a Roma, decide di non dedicarsi più alla scultura. La pubblicazione della Prima rinnegazione della scultura sul primo numero di «Valori Plastici» (I, 1, 15 novembre 1918, pp. 13-16), rivista che Melli contribuisce a fondare assieme a Mario Broglio, sancisce così il suo passaggio definitivo alla pittura. Nel 1921 partecipa alle esposizioni organizzate in Germania da «Valori Plastici» e l’anno successivo si presenta alla rassegna della “Primavera Fiorentina”. In seguito si trova nelle necessità di tralasciare la pittura per dedicarsi ad attività più remunerative, come la cartellonistica.
La grafica pubblicitaria rappresenta, difatti, una possibilità di guadagno durante un periodo difficile della sua vita, tra il 1927 e il 1930 circa. L’estro, la raffinata sintesi grafica, il dinamismo delle linee e la coinvolgente esuberanza dei colori fanno di questi lavori una testimonianza dell’inventiva e della brillante strategia comunicativa dei primi decenni del Novecento. Segnaliamo come esempi di armonica espressione del “manifesto-marchio”, il bozzetto per il cartellone promozionale dello storico negozio romano La Casa dei Bambini e quello per Lampo – benzina superiore, carburante prodotto dalla “Società Italo – Americana pel Petrolio di Genova” (Ferrara, Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea). Melli dimostra, dunque, una spiccata sensibilità nel recepire i modelli dei grandi illustratori dell’epoca, in particolare Marcello Dudovich, Sergio Tofano, Luigi Caldanzano, Leonetto Cappiello, Sepo alias Severo Pozzati.
Gli anni Trenta si aprono all’insegna del forte impegno nella critica d’arte e a questo proposito si ricorda la sua rubrica Visite agli artisti, tenuta su «Quadrivio». In tale contesto, stringe amicizia con diversi intellettuali e artisti, tra i quali Miriam Mafai, Fausto Pirandello, Renato Guttuso.
Roma continua a essere la sua patria d’elezione e frequentando gli ambienti più ricettivi alle innovazioni linguistiche approfondisce la lezione cézanniana, quella cubista e il modello pierfranceschiano con rimandi alle atmosfere metafisiche. Attraverso il mezzo pittorico elabora una personalissima sintesi di forma e colore, in sintonia con le ricerche di Giorgio Morandi. A questa fase appartiene Autoritratto del 1933 e Composizione di oggetti del 1934 (Ferrara, Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea), prove tra le più rappresentative del “tonalismo”. Si tratta del procedimento pittorico teorizzato nel “Manifesto del Primordialismo Plastico”, che il ferrarese redige con Emanuele Cavalli e Giuseppe Capogrossi nel 1933. Nell’autoritratto, primo di una serie realizzata tra il 1933 e il 1957, Melli manifesta la piena consapevolezza del suo ruolo di artista e di guida per i più giovani nell’ambito della Scuola Romana (Guidi in Ferrara 2012-2013, p. 89).
L’emanazione delle leggi razziali interrompe drammaticamente l’attività pubblica di Melli, lasciando un segno indelebile sulla sua produzione artistica. Durante gli anni della guerra Melli si rifugia nelle “quiete stanze” della casa romana, continuando a creare i ritratti della moglie Baba e degli amici stretti, a dipingere, inoltre, bellissime nature morte e angoli urbani della capitale (del 1940 si ricordano Spazzino al Testaccio delle raccolte Assicoop e il Ritratto del poeta Sebastiano Carta, collezione privata; all’anno successivo risalgono Paesaggio Biblico delle gallerie ferraresi, Autunno e L’Aventino in collezioni private; datato 1944 è invece l’intimo Riposo (Interno), sempre in collezione privata). Una volta terminato il conflitto, intraprende una nuova fase professionale grazie al conferimento della cattedra di pittura all’Accademia di Belle Arti di Roma e l’invito a esporre, dal 1946, alle esposizioni di arte italiana presso la Redfem Gallery di Londra e il Museo Nazionale di Varsavia. Inoltre, presenta opere nelle gallerie romane come la San Bernardo, la Galleria del Secolo di via Veneto e presso gli spazi di Palazzo Venezia. In polemica con la Commissione organizzatrice della Biennale di Venezia, decide di non partecipare all’edizione del 1948 (Macerata 1992, pp. 224-226; Franco 2009).
Durante gli anni Cinquanta prosegue l’attività come critico d’arte e nello stesso tempo porta avanti la militanza politica e l’associazionismo con l’obiettivo di sostenere gli artisti e la cultura. In quest’ultima fase, Melli indaga la sfera interiore dei soggetti attraverso il processo di disgregazione della forma. Una ricerca che culminerà nell’Ultimo autoritratto (Firenze, Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti) e nell’Ultima natura morta (Ferrara, Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea) del 1957, i testamenti figurativi di un’intensa e sofferta parabola professionale ed esistenziale.

Riferimenti bibliografici: Ferrara 1958; Macerata 1992; Martini 2004; Franco 2009; Ferrara 2012-2013

(Lorenza Roversi, 2018)