OSCAR EREDI

Portomaggiore (FE), 1901 – Milano, 1952

Nei primi anni Venti, Oscar Eredi lascia la provincia ferrarese e si trasferisce a Milano per frequentare l’Accademia di Brera. Qui si distingue al corso di Figura di Ambrogio Antonio Alciati che incoraggia il giovane allievo nella pratica del ritratto. Attraverso la lezione di Alciati, Eredi si confronta con alcuni protagonisti della scena artistica a cavallo tra Otto e Novecento: da Tranquillo Cremona a Giovanni Boldini, da Eugène Carrière a Cesare Tallone. Lo stile caratterizzato da pennellate fluide e sfumate e da una tavolozza delicata e luminosa è sicuramente un buon viatico per inserirsi agilmente nella committenza borghese dell’epoca.

Nella seduta del 18 luglio 1925, il consiglio accademico assegna a Eredi la Pensione Hayez insieme a Carlo Cavagnino. Come stabilito dal regolamento, al termine della pensione il portuense presenta il proprio autoritratto, firmato e datato 1927. L’11 aprile 1929, gli esaminatori Alciati, Aldo Carpi, Giuseppe Gallavresi e Vittorio Campi accettano “senz’altro” il saggio finale, “è un lavoro modesto, ma sincero” (Milano, Archivio dell’Accademia di Brera, Carpi, C V 24 legato Hayez; in Pinacoteca Brera 1993, pp. 191 e 244). L’Autoritratto risulta ancora vicino alla maniera di Alciati ma allo stesso tempo non sembra “legato in modo pedissequo” alle “tonalità sfumate in giochi d’ombra evanescenti, forme dissolte in vaporosa fragilità” del maestro (Torresi 2005, p. 70).

Nel prosieguo della sua carriera Eredi tende, difatti, verso una costruzione più nitida e plastica, forse perché è difficile non confrontarsi con le conseguenze che hanno avuto il “ritorno all’ordine” e i “Valori plastici” sulle tendenze avanguardistiche nel primo dopoguerra. La successiva portata culturale del gruppo Novecento ha poi di fatto suggellato il recupero della tradizione, delle antiche tecniche e della figura.

Nonostante il catalogo sia scarsamente documentabile, la produzione di Eredi, specie quella che ricade negli anni Trenta, presenta brani di notevole interesse. Le pitture su tavolette di legno come Natura morta con mele cotogne e Natura morta con pesche e statuetta di Budda del 1933 (passate recentemente all’asta), a cui si deve aggiungere quella risalente all’anno successivo della collezione Assicoop, rimandano in un certo qual modo alla riscoperta dei valori formali del Quattrocento, a un’atmosfera enigmatica e sospesa che ancora risponde alla suggestione metafisica diffusa dalle opere di Carrà, Casorati e Morandi. Anche nei Gigli su velluto verde del 1936 si riscontra la non trascurabile abilità tecnica, in particolare nella efficace combinazione tra il candore dei fiori, la luminosità e trasparenza del vaso e la consistenza del panno scuro. A riprova inoltre del suo interesse a sperimentare le possibilità espressive della figura, si segnalano alcuni nudi femminili, sempre risalenti a questo decennio, “collocati entro paesaggi metafisici, con fabbriche e scorci geometrici sul fondo” (ivi, p. 71). 

Tra le due guerre partecipa alle mostre della Società Promotrice di Belle Arti di Torino (1932), a quelle del Sindacato Interprovinciale Fascista di Milano del 1934, 1935 e 1936 e alle “sociali autunnali” della Permanente milanese, dal 1937 al 1940 (Breda 2001, p. 197). In tale contesto, Torresi cita una natura morta del 1937, esposta l’anno seguente “alla Mostra Sociale Autunnale della ‘Permanente’”. La pittura su tavola, “intitolata Amici di sventura, alludendo agli animali morti posti in primo piano, rifacendosi ai grandi maestri fiamminghi del Seicento, anche per la scelta cromatica dei toni scuri”, è stata acquistata dal Comune di Milano (si veda Torresi 2005, p. 71).

Alla XXI Biennale di Venezia del 1938 presenta quella che forse è la sua opera più nota, Mio padre (numero 267 del catalogo). Eredi, che dal cartellino ancora apposto sul telaio risulta residente a Milano, effigia il genitore seduto in modo composto, all’interno di un sobrio ambiente borghese, mentre “lo sguardo fisso ed intenso ne evidenzia le caratteristiche di ‘rigore morale’” (ibidem).

Arrivando all’ultima fase della sua attività, si ricorda la tavolozza ricca e accesa della bella Natura morta con frutta e caraffa (1940) e anche le composizioni con “i beccaccini”, 1941 e 1951, che suggeriscono un omaggio alla poetica depisisiana dell’effimero. 

Infine, i piccoli paesaggi, tra cui la piccola tavola raffigurante un convento sulla collina (1936; passata all’asta), La Salute – Venezia e Venezia – Riva degli Schiavoni, presentate alle mostre sociali delle Permanenti milanesi del 1938 e 1939 (rispettivamente, nn. 115 e 171 dei relativi cataloghi), Piazza San Marco e la veduta lagunare con gondole della collezione Assicoop (entrambe eseguite nel 1940), testimoniano la versatilità di Eredi nel rapportarsi con i diversi generi.

Riferimenti bibliografici: Pinacoteca Brera 1993; Breda 2001; Torresi 2005; 

(Lorenza Roversi, 2023)