Ferrara, 1809 – 1878
Nato a Ferrara nel 1809 da Francesco Pagliarini e da Eleonora Azzolini, Giovanni inizia l’educazione artistica sotto la guida di Gregorio Boari e di Giuseppe Saroli. Si iscrive in seguito all’Accademia di Belle Arti di Venezia, presieduta dal ferrarese Leopoldo Cicognara, e qui frequenta le lezioni di Odorico Politi dal 1829 al 1833. Per meriti accademici, e per le raccomandazioni al Gonfaloniere Avogli di un prelato e di due nobildonne, ottiene una sovvenzione che gli permette di studiare un anno all’Accademia di Firenze (fino a ottobre 1834), diretta da Pietro Benvenuti, esponente di spicco del gusto neoclassico in Toscana (cfr. Mogorivich 2003-2004, p. 12). Una volta terminato il percorso accademico si reca a Vienna per studiare e copiare le opere italiane. Dopo questo breve soggiorno, si stabilisce a Trieste e, come riportano i Tempi andati di Caprin, apre «un modestissimo studio che soleva chiamare il Pantheon ferrarese, avendovi dipinto sulle pareti tutti i grandi uomini della sua città: Nicolò Ariosto perché aveva dato i natali a Lodovico, Fulvio Testi, Gabriele Chiabrera, il canonico Manini, e una gran folla di altre celebrità in toga, armature od abiti principeschi, compresa la Parisina che mostrava Ugo ad Antonio Somma» (Caprin 1891, p. 118).
Durante il periodo triestino realizza scene di genere, tra cui il Ballo di mandriani nella campagna di Trieste, il Ballo in trattoria, l’Ostricaro e Contadino che mangia la zuppa (Trieste, Musei Civici), opere particolarmente apprezzate dai collezionisti locali. Viene così in contatto con gli esponenti dell’alta borghesia e incomincia a realizzare per loro una serie di effigi, dove mette a frutto la formazione accademica e la lezione del ritrattista goriziano Giuseppe Tominz. Porta altresì a compimento un grande dipinto ispirato al tema medievale dell’amore contrastato, speculare a quello di Romeo Giulietta, tra Imelda de’ Lambertazzi e Bonifacio Gieremei. Si tratta di Imelda e Bonifacio (Trieste, Museo Revoltella), datato 1835 e quindi verosimilmente iniziato a Vienna o subito dopo il rientro in Italia (Scardino 1990, p. 8; Mogorivich 2003-2004, p. 94). Si ricordano altre opere significative, quali il Sogno di Giacobbe “dal trepido cromatismo secentesco” (Scardino e Torresi 1995, p. 150) e l’Autoritratto con la famiglia (Ferrara, Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea), dipinto di altissima qualità databile tra il 1835 e il 1840. Quest’ultima tela è stata ritenuta “del tutto controcorrente” perché impostata sull’artificio del quadro nel quadro, che crea di primo acchito una visione ingannevole dei “diversi piani di realtà” (Savonuzzi 1971, p. 75). Infine, l’Autoritratto con la famiglia è riconosciuto come il risultato “di una personalità ormai matura, dagli spiccati interessi in area veneta, nell’orbita culturale del biedermeier, con rimandi ai modi dei maestri Grigoletti, Lipparini e Politi” (Martinelli Braglia in Castelnuovo 1991, p. 943).
Tra la fine del 1848 e l’inizio del 1850 si colloca il trasferimento a Udine (Mogorivich 2003-2004, p. 68)
e qui ricompone la rete di committenze grazie alla partecipazione a diverse esposizioni artistiche e per essersi fatto conoscere con il lavoro per alcune chiese della città (ad esempio La predica del Battista, 1855, nella chiesa di San Cristoforo, dipinto nel quale inserì il proprio autoritratto). Si ricorda inoltre l’esecuzione del Martirio di san Giorgio per il Duomo di Pirano d’Istria (1850), l’Immacolata Concezione per quello di Capodistria e la Madonna del Carmine per Grado (1855).
Al 1852 risale La famiglia dell’ingegner Lavagnolo (Udine, Civici Musei e Gallerie di Storia e Arte), opera particolarmente felice nell’impaginazione, nella resa cromatica e nella presentazione dei personaggi. È considerata, difatti, una delle migliori trasposizioni pittoriche di quel realismo borghese che intorno alla metà dell’Ottocento si afferma nella cultura italiana. Non solo, il ritratto di famiglia immortala uno spaccato di società e un sentimento patriottico che in quegli anni emerge sempre più, specialmente in quelle zone/territori della penisola sottoposte al governo asburgico.
Un dipinto che testimonia, invece, la fortuna dell’orientamento “purista” sulla scia della corrente nazarena, è Madonna col Bambino del 1854, caratterizzata da un disegno nitido e da una luminosità che rimandano all’arte del primissimo Cinquecento (per approfondimenti si veda Guidi in Ferrara 2012- 2013, p. 19).
Una volta rientrato a Ferrara nel 1859, Pagliarini ritorna al tema risorgimentale con la Famiglia del Plebiscito (1860), commissionato dai Bortoletti-Casanova (Ferrara, Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea). Seguendo lo schema del quadro Lavagnolo, raffigura il gruppo famigliare secondo i dettami della ritrattistica pubblica. Pur non essendo rilevanti personaggi politici, questi esponenti della classe borghese imprenditoriale, animati da “spirito moderato, all’infuori di esaltazioni romantiche, ma con spiccati sentimenti antiaustriaci”, diventeranno il simbolo a livello locale dell’annessione di Ferrara al nuovo Stato italiano. Questa decisiva congiuntura politica è sancita, per l’appunto, dallo strumento democratico del plebiscito, i cui risultati sono riportati nel foglio tenuto in mano da uno dei membri della famiglia (Scardino 2011, p. n.n.).
Tra i dipinti eseguiti, o iniziati, altrove e poi giunti a Ferrara (come la sopra citata Madonna col Bambino del 1854), vi è anche la grande tela raffigurante La predica di san Pietro e la guarigione dello storpio: commissionata dalla famiglia Dalla Fabbra, l’opera ritorna all’artista, successivamente collocata nella chiesa di San Cristoforo alla Certosa e ora si trova nei depositi dei Musei d’arte antica della città estense (cfr. Scardino e Torresi 1995, p. 120; Scardino 2003, p. 64; Marchetti in Ferrara 2012-2013, p. 116). Nel frattempo, riceve numerose commissioni di lavoro, per lo più ritratti (conservati nel Museo dell’Ottocento e nei depositi delle gallerie civiche ferraresi; inoltre in una sala municipale e in collezioni private), genere che a Pagliarini è particolarmente congeniale e che pratica con una certa regolarità poiché gli garantisce l’entrata economica necessaria ad affrontare i problemi di salute.
I ritratti dell’ingegner Pietro Zeni, dei coniugi Vigoni e dei Bergando sono opere che testimoniano la resa naturalistica attraverso la perizia accademica: i principali referenti sono Malatesta e Hayez, da cui Pagliarini desume il romanticismo dal formalismo impeccabile. Come ha evidenziato Savonuzzi siamo di fronte a una restituzione oggettiva dei personaggi, anche se non si ha prova dell’effettivo utilizzo del mezzo fotografico, come fece il più giovane Giuseppe Mazzolani o il bolognese Alessandro Guardassoni, il miglior allievo di Malatesta (Scardino 2011, p. n.n.).
Nel 1861 si reca a Firenze per esporre alla prima Mostra Nazionale una Scena friulana e la Madonna col bambino sulle ginocchia (forse quella sopra citata), poi ripresentata nel 1868 all’Esposizione di Belle Arti di Milano entro una bella cornice realizzata dall’ebanista Marignani (ora nelle gallerie comunali di Ferrara; Scardino e Torresi 1995, pp. 118-119).
Pagliarini partecipa all’attività artistica ferrarese: compare come membro del comitato promotore della Società Benvenuto Tisi da Garofalo ed espone alle relative mostre, dal 1869 al 1877. Infine, risale al 1871 l’assegnazione della cattedra di Figura presso il Civico Ateneo di Ferrara e tra i suoi allievi troviamo Gaetano Previati.
Riferimenti bibliografici
Caprin 1891; Svonuzzi 1971; Scardino 1990; Castelnuovo 1991; Scardino e Torresi 1995; Scardino 2003; Mogorivich 2003-2004; Scardino 2011; Ferrara 2012-2013
(Lorenza Roversi, 2018)