SARACENI FRANCESCO

Ferrara, 1797 – 1871

Di nobile famiglia, Francesco Saraceni fu tra i più significativi esponenti della pittura “neo-estense” a Ferrara, che tentava di restituire nel XIX secolo suggestioni stilistiche e moral/devozionali (in senso neo-guelfo) degli artisti operanti durante il Rinascimento ferrarese.
In tal senso, dopo esser stato allievo dapprima della civica scuola d’arte a Ferrara, perfezionandosi nel 1820-22 presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze, Saraceni risultò attivo in alcuni dei più significativi “cantieri” monumentali della sua città: il Castello Estense (Sala della Devoluzione, dove realizzò sapide scenette murali ambientate nel 1598), il cimitero della Certosa (tomba del suo maestro Giuseppe Santi, lunette monocrome nella cella degli Uomini illustri, bozzetti per la cappella Gulinelli), la Piazza Ariostea (dove disegnò per gli scultori Vidoni il monumento a Ludovico Ariosto), nonché varie chiese (Santa Maria in Vado, Sant’Agnese, S. Benedetto, S. Cristoforo, Sant’Antonio Abate). In quest’ultimo edificio sacro si trovò a lavorare a stretto contatto con il veneziano Pividor, insegnante di Prospettiva e Ornato presso il civico Ateneo di Ferrara; mentre il professore andava riprogettando gli elementi in cotto della facciata e le cornici neogotiche dei polittici e della Via Crucis, in una sorta di gustosa “arts and crafts” vernacolare, Saraceni eseguì un paio di tavole e la metà delle stazioni della Via Crucis. Mentre lavoravano assieme nella chiesa ricostruita nella via Saraceno (quindi non lontano dal palazzo avito del pittore) i due furono chiamati a eseguire un rilievo per una decorazione barocca nel coro della basilica di S. Francesco (opera alquanto scenografica di Francesco Ferrari), che nel 1865 è stato distrutto e subito ricostruito per motivi di statica. Committente del rilievo fu lo stesso Comune di Ferrara, a quanto pare, tanto che nella guida della Pinacoteca cittadina del 1887, stesa dal direttore Giovanni Fei, è appunto segnalata l’opera grafica dei due artisti, che si erano già messi in luce con tavole illustrative per il romanzo Ettore Fieramosca, i volumi delle Famiglie celebri italiane del Litta, i grandi libri del Canonici sulla Certosa e il Duomo di Ferrara. In particolare, Saraceni si segnalò per un disegno “curiosamente gianiano” di un rilievo cinquecentesco con San Giorgio e un duca estense (oggi presso la Biblioteca Ariostea di Ferrara), nonché per un paio di ritratti incisi.
Il rilievo di San Francesco, ora riemerso dalla collezione Macalli di Ferrara, “unico documento superstite della decorazione barocca nel catino della basilica di San Francesco… raffigurante un trionfo di santi francescani”, sembrerebbe un’elaborazione a metà strada tra l’opera finita ed eseguita a quattro mani (le figure dal Saraceni, gli ornati architettonici dal Pividor). Non a caso esso risulta realizzato a matita e solo in alcuni punti ritoccato a china, a far pensare a una versione intermedia rispetto all’esemplare poi destinato alla Pinacoteca, dove spiccava accanto al disegno acquarellato di Girolamo Domenichini, dedicato all’affresco di Serafino da Modena staccato dalla chiesa di Sant’Andrea. E’ comunque un indizio significativo dell’interesse dimostrato da Saraceni per le sorti del patrimonio artistico ferrarese, tanto che nel 1861 stese una relazione di restauro per un affresco di gusto garofalesco, che era riapparso nella basilica di Santa Maria in Vado, fece poi parte della Comunale commissione d’ornato e fu tra i fondatori della Società Promotrice “Benvenuto Tisi” nel 1868.
Dal punto di vista artistico, è da rilevare che egli passò dall’iniziale adesione agli stilemi neoclassici a un brillante gusto romantico, soprattutto nel periodo in cui operò in subordine all’equipe di decoratori capitanata da Francesco Migliari, con cui lavorò a Ferrara, a Napoli e in Grecia. Con il Migliari realizzò altresì il sipario del Teatro comunale di Ferrara raffigurante Rinaldo che giunge all’isola del Belvedere (1833). Secondo taluni si distinse dagli altri artisti ferraresi per un tono volutamente falso-ingenuo, popolaresco e sgrammaticato, come confermano alcuni particolari nella decorazione del Castello estense e nelle cosiddette Scene ferraresi decorate a tempera nel Palazzo Camerini, oggi sede della Questura di Ferrara. Ma Saraceni aderì al “Romanticismo Storico” rivelando maggiore sapienza accademica, come rivelerebbero La Conversione di Ezzelino da Romano, quadro lasciato in eredità alla Società “Benvenuto Tisi”, gli impeccabili disegni, le decorazioni nel Teatro sociale di Badia Polesine (1855) e quelle di Palazzo Rosini, nella medesima cittadina veneta, dove egli rappresentò con abilità figure allegoriche e riquadri con personaggi storici (La famiglia Medici, Il rapimento delle spose veneziane da parte dei Ciprioti). Artista poliedrico, “dilettante di classe”, viaggiatore attento (avrebbe studiato anche a Venezia e a Roma, nonché compiuto viaggi di studio in Germania e in Svizzera), legatissimo alla città e alla famiglia (ma mai si sposò), l’eclettico Francesco Saraceni è comunque artefice degno di essere studiato con maggior attenzione, anche se non raggiunse i più alti risultati artistici dei pressoché coevi Girolamo Domenichini e Giovanni Pagliarini.

Riferimenti bibliografici: Fei 1887, p. 65; Savonuzzi 1971, pp. 42-47; Torresi 1996; Musacci 2018.

Lucio Scardino (2019)