Torano, 1789 – Roma, 1869
Pietro Tenerani nacque a Torano nei pressi di Carrara l’11 novembre 1789 da una famiglia di cavatori di marmo. Dopo l’educazione letteraria fu avviato allo studio del disegno e della scultura presso lo zio materno, lo scultore Pietro Marchetti, apprezzato copista dall’antico e professore nell’Accademia di Carrara.
La scuola di scultura e l’ambiente artistico carrarese godevano allora di una vivacità culturale favorita dall’attenta politica di Elisa Baciocchi alla guida del Principato di Lucca e Piombino. Con specifiche azioni che comprendevano dazi e strumenti di finanziamento, ella scoraggiò l’esportazione di blocchi di marmo grezzi, incentivando così la lavorazione artistica del marmo entro i confini dello stato con un benefico effetto sulla scuola di scultura cittadina. Questa politica determinò per il giovane Tenerani l’opportunità di conoscere da vicino l’opera dei più importanti scultori del tempo: da Antonio Canova a Christian Daniel Rauch a Giovan Battista Comolli, Joseph Chinard. Negli studi accademici seguì oltre all’insegnamento di Marchetti anche le lezioni di disegno di Jean-Baptiste Frédéric Desmarais. Nel 1813 vinse il concorso per il Pensionato triennale a Roma, dove giunse nell’aprile del 1814 per frequentare i corsi dell’Accademia di San Luca e la Scuola serale del Nudo all’Accademia di Francia. L’eccellente esito del tirocinio accademico e una lettera commendatizia di Marchetti aprono per Tenerani l’alunnato presso Bertel Thorvaldsen. Il celebre scultore danese conferì sempre maggiore fiducia al giovane con compiti che andavano dalla esecuzione dei modelli alle rifiniture delle traduzioni in marmo, fino alla direzione del suo studio negli anni 1819-1820, quando il maestro compì un viaggio in Nord Europa. Nell’agosto del 1816 Tenerani inviò a Carrara il saggio di pensionato Paride offerente che inaugurando l’ispirazione mitologica e allegorica che caratterizzerà la sua produzione nel decennio a venire. L’anno successivo eseguì la Psiche abbandonata, la celebre opera che, sebbene nella fisionomia del volto, nell’elaborata acconciatura, nell’anatomia semplificata del busto e delle braccia dipenda dall’insegnamento di Thorvaldsen, propone tuttavia una inedita caratterizzazione intimista e malinconica della psicologia del soggetto, come avrebbe ricordato Pietro Giordani in una famosa lettura critica dell’opera pubblicata sulla rivista Antologia. Giornale di scienze, lettere ed arti del Gabinetto Vieusseux. L’opera, acquistata dalla marchesa Carlotta de’ Medici Lenzon,i a Firenze ebbe fortuna tale che Tenerani ne eseguì numerosi esemplari come quella venduta al principe di Metternich. Egli lavorò ancora sul tema arrivando nel 1823 a realizzare la Psiche svenuta, anch’essa eseguita in varie repliche (l’ultima del 1869 è a Roma, GNAM), che rappresentò un’ulteriore evoluzione del linguaggio dell’artista verso le sperimentazioni sul bello naturale. L’opera era stata originariamente commissionata da Giovanni Battista Sommariva, uno dei principali mecenati neoclassici europei, che possedeva opere di Thorvaldsen e la Maddalena penitente di Canova, di cui la scultura di Tenerani avrebbe idealmente rappresentato un pendant. L’opera, che divenne presto un modello canonico imitato da contemporanei come Cincinnato Baruzzi, fu ammirata, in una delle sue repliche da Giacomo Leopardi, che visitò lo studio romano dello scultore nel 1831. In tale occasione il poeta osservò anche il bassorilievo funebre per Clelia Severini, “pieno di dolore e di costanza sublime”, fonte di ispirazione per il canto XXX Sopra un bassorilievo antico sepolcrale dove una giovane morta è rappresentata in atto di partire accomiatandosi dai suoi. E’ ancora la lezione di Thorvaldsen alla base dell’elaborazione nella seconda metà degli anni Venti di questa opera, in cui l’artista descrive il patetico commiato funebre della fanciulla ricercando l’efficacia drammatica tramite la purezza semplificata delle forme.
Negli anni Trenta dell’Ottocento Tenerani aderì progressivamente al Purismo, di cui egli stesso divenne il caposcuola in scultura, sottoscrivendo poi nel 1842 con Johann Friedrich Overbeck e Tommaso Minardi il testo Del purismo nelle arti redatto dal pittore letterato Antonio Bianchini. In quegli anni Tenerani elaborava dunque un lessico originale che innestava sullo stile neoclassico lo studio di Verrocchio, Lorenzo Ghiberti, Andrea Sansovino, rimeditati alla luce della pittura nazzarena. Mancava infatti una fonte figurativa vincolante in scultura che incarnasse l’ideale classico, similmente a quanto avveniva in pittura con l’esempio di Raffaello. Un’opera esemplare nel catalogo di Tenerani come la Deposizione per la Cappella Torlonia in san Giovanni Laterano si presenta come il prodotto di un ideale artista del Rinascimento, corrispondente plastico del Raffaello del periodo fiorentino, dotato però degli strumenti formali messi a disposizione dalla moderna tradizione accademica: la purezza e la semplicità del disegno, l’equilibrio della composizione, espressività eloquente ma misurata. Nell’opera, eseguita nel 1844, il ritmo di serrati rapporti plastici, il colloquio emotivo trattenuto manifestano già una nuova attenzione al Romanticismo. Nel 1846 poi il teorico del purismo Pietro Selvatico scrisse un importante articolo su Tenerani – pubblicato su “Il Panorama” e “Giornale Euganeo”- consacrando la sua arte come esempio fulgido del bello morale, suprema sintesi della bellezza esteriore e formale derivante dall’imitazione degli antichi unita alla bellezza spirituale interiore dell’arte cristiana. Secondo Selvatico Tenerani raggiungeva l’eccellenza della perfezione artistica in particolare nei monumenti funebri e nell’arte cristiana, come nelle statue dei santi che eseguì per la Basilica di San Pietro (Sant’Alfonso de’Liguori, 1835), per la Chiesa di S. Francesco di Paola a Napoli (San Giovanni Evangelista), per san Paolo Fuori le Mura (San Benedetto, 1839-1845).
Contemporaneamente ai soggetti religiosi affrontava ancora temi mitologici (Flora, 1838, Ermitage; Vesta, 1841-1845, Roma, GNAM), eseguiva monumenti a destinazione pubblica come quelli a Simon Bolivar, tra cui ricordiamo in particolare quello di Bogotà (Bogotà, Plaza Bolivar, 1842-1844), o monumenti funerari come il celebre Monumento di Vladimir Grigorievic Orlov, direttore dell’Accademia delle Scienze di San Pietroburgo.
La sua produzione di ritratti fu così ingente da contare oltre centoquaranta busti e numerose effigi a figura intera, eseguite sia per i privati collezionisti, sia nel registro monumentale della scultura civile e funeraria. Eseguì busti in forma di erma (Vittoria Caldoni, 1821, Alberto Nota 1833), oppure panneggiati all’antica (Busto di Michail Semenovic Voroncov, 1846, San Pietroburgo, Ermitage) o in abito contemporaneo (Vincenzo Gioberti, 1848, Roma, Museo di Roma). Tra gli esempi più celebri possiamo ricordare il Monumento a Pellegrino Rossi (1854-1869, Roma, GNAM), in cui lo statista carrarese, ministro di papa Pio IX, è ritratto in abiti moderni, ma gode però di una nobilitazione all’antica, conferitagli sia dalla grave espressione meditativa, sia dal panneggiare del mantello adagiato come una toga sulle ginocchia. Tenerani si cimentò anche nella esecuzione di ritratti inseriti in monumenti a edicola rinascimentale, come nel Monumento a Enrico Lenzoni (Firenze, Santo Spirito, Chiostro, 1833-1835), di cui aveva progettato personalmente anche i partiti decorativi. Negli anni Cinquanta e Sessanta eseguì una serie di busti femminili panneggiati all’antica con acconciature simmetriche e scriminate all’antica, caratterizzate tuttavia da una spiccata individualizzazione personale, garantita anche dall’uso precoce della fotografia nella elaborazione delle sculture.
Tenerani ebbe una lunga carriera didattica, iniziando a insegnare nel 1825 presso l’Accademia di San Luca a Roma, di cui divenne Presidente dal 1856. Dall’anno successivo ricoprì la medesima carica nel Museo, Galleria e Protomoteca Capitolina. Nel 1860 è Direttore Generale dei musei e Gallerie pontificie.
Muore a Roma il 14 dicembre 1869. La sua cospicua gipsoteca è conservata nel Museo di Roma.
Riferimenti bibliografici: Grandesso 2003 (con bibliografia precedente); Mazzocca 2008; Silingardi 2008; Silingardi 2011; Randolfi 2012.
(Elisa Montecchi, 2016)