storie di Ferrara

Oltre le mura: un secolo di grandi pittori ferraresi, 1861-1960

Marcello Toffanello

Nella seconda metà dell’Ottocento Ferrara presenta l’apparente paradosso di una piccola città che pur dando i natali ad alcuni fra i maggiori artisti italiani non riesce ad elevarsi da un’ormai secolare condizione di provincia. Si è anzi sostenuto che dopo l’Unità d’Italia sia impossibile scrivere una storia dell’arte ferrarese che non sia storia di individui operanti al di fuori dalle mura cittadine.

È solo la riconduzione ai musei civici delle opere di Boldini, Previati, Mentessi e, successivamente, di Funi, Melli e de Pisis, avvenuta in buona parte dopo la morte degli artisti stessi, a dare oggi l’illusione che Ferrara sia stata un centro dell’arte italiana fra Otto e Novecento.

In realtà qualsiasi tentativo di ricondurre a unità – fosse anche solo quella delle comuni radici – queste esemplari esperienze artistiche è destinato al fallimento. Non vi è dubbio che i ferraresi espatriati mantengano un legame affettivo e relazioni culturali con la terra natale, tuttavia dopo la metà del secolo, assieme agli ideali risorgimentali e al ceto dirigente che se ne era fatto promotore, anche a Ferrara come in altri centri minori italiani entra in crisi quella cultura municipalista che era riuscita a far coincidere la riscoperta della storia locale con le aspirazioni all’unità nazionale e che era stata capace di ricondurre in patria i migliori artisti – o quantomeno le loro opere – al termine di un percorso di formazione attraverso i maggiori centri artistici della penisola (Ferrara era infatti priva di un’accademia di belle arti).

La rottura di questo circolo virtuoso, che in epoca neoclassica e romantico-purista ha come figure di riferimento i critici Leopoldo Cicognara e Camillo Laderchi, recide i legami diretti della città col resto d’Italia e d’Europa causando la definitiva chiusura provinciale dell’ambiente artistico ferrarese.

Giovanni Boldini (Ferrara 1842 – Parigi 1931) è il primo a lasciare la città per farvi ritorno solo dopo la morte (gli sono infatti intitolati, oltre che un museo, ben due tombe nel cimitero della Certosa). Avviato allo studio della pittura antica dal padre Antonio, tipica figura di pittore-copista-restauratore di primo Ottocento, Giovanni si trasferisce a Firenze nel 1864, entrando nella cerchia dei macchiaioli, di cui condivide la ricerca formale ma non certo lo spirito bohémien e barricadiero. Boldini preferisce infatti frequentare l’alta società cosmopolita che risiede nella città toscana, effigiandola in ritratti di grande maestria tecnica e forza introspettiva che gli procurano quei legami internazionali grazie ai quali nel 1871, dopo una breve sosta a Londra, riuscirà a stabilirsi definitivamente a Parigi. Qui Boldini si afferma dapprima come autore di scene in costume settecentesco nel gusto di Fortuny e Meissonier e di acute vedute delle animate piazze parigine, in concorrenza con Francesco De Nittis, per poi abbandonare dal 1878 i soggetti à la mode e dedicarsi quasi esclusivamente al ritratto, giungendo all’apice della fortuna internazionale con opere come il Ritratto di Giuseppe Verdi (1886), il Pastello bianco (Emiliana Concha de Ossa, 1888), la Marchesa Casati con levriero (1908): dipinti di straordinaria modernità che tuttavia guardano anche ai grandi artisti del passato (sopra tutti Hals, Velázquez e Goya). Compagno di Boldini nelle visite ai maggiori musei d’Europa è l’amico Degas, seguendo l’esempio del quale il ferrarese pratica con risultati eccellenti la tecnica del pastello e, per puro diletto personale, l’incisione a puntasecca e ad acquaforte.

Anche Gaetano Previati (Ferrara 1852 – Lavagna 1920) lascia Ferrara per Firenze prima di iscriversi nel 1877 all’accademia di Milano, dove poco dopo lo raggiunge Giuseppe Mentessi (Ferrara 1857 – Milano 1931). Mentre quest’ultimo inizialmente si dedica soprattutto al paesaggio e alla scenografia, il giovane Previati si cimenta in un ambizioso tentativo di rinnovare la pittura di storia con opere tenebrose e sperimentali come Gli ostaggi di Crema, che nel 1879 gli valse il premio Canonica, e altre in cui interpreta l’epopea risorgimentale in chiave antieroica e pacifista. La cruciale Triennale di Brera del 1891 segna un punto di svolta per entrambi gli artisti: Previati vi espone il dipinto divisionista Maternità che lo impone come uno dei protagonisti del simbolismo italiano ed europeo per la particolare tecnica fatta di lunghi filamenti di colore luminescente che smaterializzano e sintetizzano le forme; Mentessi presenta invece Ora triste, dolente raffigurazione di un povero funerale, che si discosta dal naturalismo ottocentesco solo per la generale intonazione azzurro-violacea e segna la partecipazione del ferrarese alla pittura di soggetto sociale, di cui sarà uno degli esponenti più significativi.

Giovan Battista Crema

Allegoria marina

I dipinti e gli scritti teorici di Previati, con la loro esaltazione della sinuosità dinamica e melodica della linea colorata e la commistione di teorie scientifiche sulla luce e spiritualismo antipositivista, offrono un fondamentale contributo al superamento del realismo ottocentesco in chiave simbolista ed esercitano una profonda influenza sull’arte italiana, sul vivacissimo ambiente milanese di inizio Novecento – dove operano anche Ugo Martelli (Ferrara 1881 – Desenzano del Garda 1921) e Aroldo Bonzagni (Cento 1887 – Milano 1918) – e, attraverso il giovane Boccioni, sull’avanguardia futurista. Fra i due secoli anche Mentessi adotta il peculiare “divisionismo filamentoso” di Previati e aderisce alla poetica simbolista dando alla luce opere come Visione Triste (1899), grande rappresentazione allegorica della condizione umana dei contadini in forma di calvario profano, premiata con la medaglia d’argento all’Esposizione internazionale di Parigi del 1900.

Seguendo le orme di Boldini, Alberto Pisa (Ferrara 1864 – Firenze 1930) giunge prima nella Firenze ormai tardomacchiaiola, poi a Parigi nel 1886, infine a Londra attorno al 1890, dove trascorre circa trent’anni prima di tornare in Italia nel 1920. Meno dotato del suo illustre concittadino residente a Parigi, Pisa conobbe tuttavia un buon successo presso il pubblico inglese dipingendo accattivanti vedute all’acquerello delle città italiane tradizionali mete del Grand tour (Roma, Pompei, l’Umbria e la Sicilia), parte delle quali furono impiegate per illustrare libri di viaggio per i turisti anglosassoni. Molto apprezzati sono tuttora anche i dipinti di soggetto londinese nei quali Pisa riesce spesso a cogliere scorci e aspetti pittoreschi della moderna metropoli, aggiornando il proprio linguaggio sostanzialmente descrittivo sull’esempio delle vedute urbane degli impressionisti, di John Sargent e dei pittori inglesi tardo vittoriani.Negli anni Venti e Trenta la politica culturale del regime fascista, che a Ferrara ha in Italo Balbo uno dei suoi uomini di punta, favorisce contemporaneamente e in modo talvolta contraddittorio sia un cauto modernismo che la riscoperta, a fianco della storia nazionale, delle tradizioni locali. I migliori interpreti in città del nuovo clima di ritorno all’ordine (che per la verità nessuna avanguardia aveva mai turbato) sono il pittore Achille Funi (Ferrara 1890 – Appiano Gentile 1972) e lo scultore Arrigo Minerbi (Ferrara 1881 – Padova 1960).

Funi, uno dei massimi rappresentanti del movimento di Novecento, allievo e poi stimatissimo docente dell’accademia di Brera, firmatario nel 1933 del Manifesto della pittura murale assieme a Sironi, dipinge nel 1934-37 gli affreschi illustranti il Mito di Ferrara nella sala dell’Arengo in palazzo Municipale. Minerbi, anch’egli attivo a Milano dal 1915, nel corso degli anni Venti passa dalle cadenze liberty di Bistolfi e Wildt a un classicismo di stampo neo-rinscimentale; si tratta di tendenze che si ravvisano anche nella scultura in bronzo della Vittoria del Piave (1917-24), posta nel 1928 nel sacrario ai caduti nella torre del municipio ferrarese: sorta di sintesi art déco della Nike di Samotracia e dei Prigioni di Michelangelo, come altre sculture di Minerbi piacque moltissimo a D’Annunzio, che ne volle una replica per il Vittoriale degli Italiani.

Se nella prima metà del Novecento Milano rimane la meta favorita degli artisti ferraresi, a partire dagli anni Venti e ancor più nel dopoguerra Roma ricomincia a esercitare la sua forza d’attrazione. Qui giunge fin dal 1903 Giovan Battista Crema (Ferrara 1883 – Roma 1964) dopo esser stato allievo in patria di Angelo Longanesi Cattani – abile ritrattista e pastellista nello stile di Previati e Mentessi – poi del grande Domenico Morelli a Napoli.Ottiene il primo successo all’Esposizione Nazionale del 1905 con il trittico L’istoria dei ciechi dolorosa, che per la combinazione di soggetto simbolico-sociale e tecnica d’esecuzione divisionista mostra di essere ispirato alle contemporanee opere di Balla. Refrattario a qualsiasi innovazione, dagli anni Venti fino a tutti i Cinquanta Crema mantiene il favore del pubblico più tradizionalista realizzando dipinti di genere e grandi pannelli decorativi in cui impiega in maniera eclettica l’ormai consolidata tecnica a colori divisi, talvolta tornando alla pittura “ad impasto” e ai temi mitologici del simbolismo tardo ottocentesco.

Roberto Melli (Ferrara 1895 – Roma 1958) si trasferisce nella capitale nel 1911 dopo un periodo trascorso a Genova. Nel 1913 e nel 1914 espone sculture d’ispirazione futurista alle prime mostre della Secessione romana per poi dedicarsi esclusivamente alla pittura, ritenuta il mezzo più efficace per raggiungere quella “conquista plastica dei valori spaziali” attraverso la sintesi di forma, luce e colore cui secondo Melli doveva tendere l’arte moderna e che l’artista raggiunge con le opere dei primi anni Trenta, senza più discostarsene. Figura appartata e di eccezionale levatura morale, Melli fu anche importante critico d’arte, fondatore della rivista “Valori plastici” con Mario Broglio nel 1919 e collaboratore di “Quadrivio”.

Il soggiorno romano del 1920-25 è fondamentale anche per Filippo de Pisis (Ferrara 1896 – Milano 1956); proprio nella capitale de Pisis matura la decisione di trasferirsi a Parigi, dove diviene davvero pittore. Grazie alla conoscenza diretta delle opere dei maestri del Sette e dell’Ottocento, degli impressionisti e degli artisti dell’École de Paris (fra gli altri, Utrillo e Soutine), la sua tavolozza si fa ariosa e luminosa, la sua pennellata capace di tradurre sulla tela le emozioni con immediatezza istintiva. Al fuoco del nuovo stile bruciano le scorie erudite degli interessi eclettici coltivati da de Pisis durante la solitaria giovinezza ferrarese: gli studi letterari, storico-artistici e naturalistici, la memoria della piatta campagna coi filari di pioppi, le suggestioni metafisiche ricevute dall’incontro con De Chirico e Savinio si trasformano in puro pretesto per un’ardente trasfigurazione pittorica che dagli anni parigini (1925-39) a quelli trascorsi a Milano (1939-43) e Venezia (1943-47), si fa sempre più vibrante e rarefatta, fino a lasciare spazio al bianco abbacinante della tela nel periodo estremo del ricovero a Villa Fiorita (1949-53). Così trascorrono, lontano dalla città natale, l’esistenza e la vicenda artistica dell’ultimo grande pittore ferrarese, uno dei maggiori del Novecento.

Bibliografia essenziale: A. Buzzoni (a cura di), De Pisis (cat. mostra: Ferrara, Palazzo Massari, 29 settembre 1996 – 19 gennaio 1997), Ferrara 1996; R. Breda, L’opera pittorica di Giovan Battista Crema, Roma 1994; F. Mazzocca (a cura di), Gaetano Previati, 1852-1920. Un protagonista del simbolismo europeo (cat. mostra: Milano, Palazzo Reale, 8 aprile -29 agosto 1999), Milano 1999; F. Dini, F. Mazzocca, C. Sisi (a cura di), Boldini (cat. mostra: Padova, Palazzo Zabarella, 15 gennaio – 29 maggio 2005), Venezia 2005; M.L. Pacelli, B. Guidi, C. Vorrasi (a cura di), Boldini, Previati e de Pisis. Due secoli di grande arte a Ferrara (cat. mostra: Ferrara, Palazzo dei Diamanti, 13 ottobre 2012 – 13 gennaio 2013; Firenze, Palazzo Pitti e Villa Bardini, 19 febbraio -19 maggio 2013), Ferrara 2011; L. Scardino, Arrigo Minerbi e gli scultori della fornace Grandi di Bondeno, Ferrara 1998; M. Toffanello (a cura di), Giuseppe Mentessi. Opere nelle collezioni del Museo dell’Ottocento di Ferrara, Ferrara 1999; M. Toffanello, Giovanni Boldini. Opere su carta (guida alla mostra: Ferrara, Palazzo dei Diamanti, 26 ottobre 1997 – 11 gennaio 1998), Ferrara 1997; M. Toffanello, Museo d’Arte Moderna e Contemporanea “Filippo de Pisis” (guida), Ferrara 2002; M. Toffanello, Museo Giovanni Boldini. Museo dell’Ottocento (guida), Ferrara 1997.